Sono soggetti a tassazione nel nostro paese i compensi corrisposti dal datore di lavoro inglese al cittadino italiano iscritto all’Aire, che: svolge la sua attività in smart working nel nostro Paese e risulta residente nel territorio in base alla definizione del concetto di “residenza fiscale” presente nell’ordinamento interno e nella convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra i due Stati, Italia e Regno Unito.
Sono queste le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate con la risposta n° 127/2023. Di seguito i dettagli.
Tassazione smart working in Italia da datore di lavoro estero: chiarimenti Agenzia delle entrate
La questione analizzata dall’Agenzia delle entrate, parte dal concetto di residenza fiscale; assunto il base al quale, ex art.2, comma 2 del DPR 917/86, TUIR, sono residenti fiscalmente in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni in un anno o 184 se l’anno è bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta, è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
Tali indicazioni contenute nella normativa nazionale, devono essere coordinate con gli eventuali accordi ossia con le convenzioni fatte dall’Italia con altri paese esteri. Parliamo delle c.d. convenzioni finalizzate ad evitare che il contribuente sia sottoposto per gli stessi redditi a doppia imposizione fiscale.
Concetto di “residenza fiscale”
La questione analizzata dall’Agenzia delle entrate, prende spunto da apposita istanza di interpello con la quale, un lavoratore dipendente residente nel Regno Unito ed iscritto all’AIRE ha fatto presente di essersi trasferito in Italia presso la casa dei genitori. Ha continuato a svolgere in smart working dal nostro Paese la sua attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro inglese. L’Istante ha disdetto il contratto d’affitto del proprio appartamento a Londra ed ha richiesto al datore di lavoro il trasferimento della sede dell’attività lavorativa.
Da qui, il lavoratore ha chiesto al Fisco lumi in in merito alla possibilità di continuare a lavorare in Italia senza prendere la residenza nel nostro Paese perché, in tal caso, rischierebbe di perdere il lavoro.
Il parere dell’Agenzia delle entrate
Ebbene come detto in premessa, la questione passa dall’analisi del concetto di residenza fiscale, ex art.2, comma 2 del DPR 917/86, TUIR. Da coordinare però con il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno. Riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, sancito dall’art. 169 del TUIR e dall’art. 75 del D.P.R. n. 600 del 1973
Da qui, per rispondere al contribuente, è necessario prendere a riferimento, la Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra l’Italia ed il Regno Unito, firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329.
Nello specifico:
- l’articolo 4, paragrafo 1 della convenzione, richiama, riguardo alla definizione del concetto di residenza, la nozione contenuta nelle normative interne degli Stati contraenti il citato Trattato internazionale;
- nell’ipotesi in cui, applicando le suddette normative interne, il soggetto risulti residente di entrambi gli Stati contraenti, entrano in gioco le cosiddette tie breaker rules (paragrafo 2 dell’articolo 4 della convenzione).
Di conseguenza, per individuare la residenza si da prevalenza al criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico: il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del Contribuente.
Ulteriori chiarimenti
Sulla base delle indicazioni fornite dall’istante, non verificabili in sede di interpello:
- la presenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, anche di una sola delle condizioni sostanziali, come definite dall’articolo 43 del codice civile (ossia il domicilio, individuato nel luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e la residenza, individuata nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale), è sufficiente per far ritenere che un soggetto sia considerato residente in Italia in base alla vigente normativa interna;
- la presenza nel nostro Paese dell’abitazione principale del Contribuente, per la maggior parte del periodo d’imposta, farebbe prevalere, in ogni caso, la residenza italiana dell’Istante, ai sensi delle vigenti disposizioni convenzionali (cfr. articolo 4, paragrafo 2, della citata Convenzione).
Da qui, considerato che il contribuente è tornato in Italia in data 30 agosto dell’anno X, sarà considerato residente nel Regno Unito nel primo anno di rientro in Italia. Sara invece considerato residente in Italia nel periodo d’imposta successivo. Dunque, a partire dal secondo anno di rientro in Italia, i redditi ovunque prodotti dal contribuente, in base alla convenzione, sono assoggettati a imposizione esclusiva in Italia.