Ai fini dell’esenzione dall’imposta di successione in favore di un ente ecclesiastico, bisogna tener conto dell’attività in concreto svolta dallo stesso ente e non della sua natura ecclesiastica. L’attività svolta nei fatti può o meno coincidere con il fine dichiarato nell’atto costitutivo.
Si è espressa in tal senso la Corte di cassazione con la sentenza n. 1149 del 21 gennaio 2021.
Esenzione dall’imposta di successione
Il testo Unico sulle successioni e donazioni, D.Lgs 346/1990, all’art.3 prevede specifici casi di esenzione dall’applicazione dell’imposta di successione. In caso di trasferimenti immobiliari, il beneficio, sussistendo le condizioni di seguito analizzate, opera anche per le imposte ipotecaria (articolo 1, comma 2 del Dlgs n. 347/1990) e catastale (articolo 10, comma 3 del Dlgs. n. 347/1990).
Casi specifici di esenzione
Detto ciò, non sono soggetti all’imposta di successione:
- i trasferimenti a favore dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, né quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità, nonché quelli a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e a fondazioni previste dal decreto legislativo emanato in attuazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461;
- i trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelli indicati nel comma 1, non sono soggetti all’imposta se sono stati disposti per le finalità di cui allo stesso comma.
Su tale ultimo punto, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità (oppure in caso di donazione o acquisto del legato) deve dimostrare di avere impiegato i beni o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante.
Se manca tale dimostrazione, l’ente che ha ricevuto i beni è tenuto al pagamento dell’imposta; è tenuto inoltre al pagamento degli interessi legali dalla data in cui avrebbe dovuto essere pagata.
Il motivo del contendere
La vicenda giudiziaria qui in commento è legata alla presentazione di una dichiarazione di successione per la quale l’Agenzia delle entrate aveva richiesto l’imposta ordinaria in relazione a un trasferimento mortis causa disposto, a titolo di legato, nei confronti di un ente ecclesiastico.
Con sentenza n. 2537/8/17, depositata in data 8 maggio 2017, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettava l’appello proposto dalla Provincia Italiana Dell’Ordine Dei Canonici Regolari Lateranensi avverso la sentenza n. 1991/54/16 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con condanna al pagamento delle spese di lite.
Il giudice di appello confermava la decisione di 1° grado.
La conferma della decisione si basava sui seguenti elementi:
- il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione e sanzioni per Euro 9.787,08, riguardante l’imposta di successione. Richiesta in solido ad altri eredi, in relazione ad una dichiarazione di successione, per la quota ereditaria riferibile all’ente in conseguenza di un legato, avente ad oggetto un appartamento;
- la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso in quanto dalla dichiarazione dei redditi risultava che la Provincia svolgesse “attività di alloggio connesse ad aziende agricole” e tenesse una contabilità ordinaria, per cui avrebbe potuto e dovuto dimostrare di svolgere attività non lucrativa e quindi di rientrare tra gli enti di cui al D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10;
- la contribuente non aveva il riconoscimento da parte del Ministero dell’Interno delle finalità assistenziali, richiesto ai fini del diritto all’esenzione come ONLUS ai sensi del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 3, non rientrava tra gli enti di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, né tra gli enti di religione o di culto cui l’esenzione poteva essere concessa secondo il regime concordatario, ai sensi della L. n. 121 del 1985, art. 7, comma 3.
Il ricorso in Cassazione
Avverso la sentenza di 2° grado l’ente ha presentato ricorso in Cassazione.
L’ente riteneva di aver diritto all’esenzione di cui al primo comma dell’articolo 3 del Dlgs. n. 346/1990, comma 1 sopra riportato. Il fatto di svolgere in via del tutto marginale e comunque strumentale alle proprie finalità istituzionali l’attività di conduzione di un fondo agricolo non poteva essere da ostacolo all’applicazione dell’esenzione.
Corte di cassazione: la sentenza n. 1149 del 21 gennaio 2021
La Cassazione in primis rileva che , per l’esenzione prevista dal comma 1 anche in favore di enti pubblici, fondazioni o delle associazioni legalmente riconosciute la qualifica soggettiva richiesta per l’esenzione totale si configura solo allorché abbiano come scopo esclusivo : l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità. Anche in questo caso, si impone una verifica dell’esclusività dello scopo istituzionale.
Caratteristica che, se accertata, rende, successivamente, superflua la verifica caso per caso delle finalità del singolo trasferimento.
Di contro tale verifica, caso per caso, si impone sempre allorché il soggetto non abbia come scopo esclusivo una delle finalità elencate.
Ancora secondo la Cassazione, l’assunto del contribuente secondo cui dalla sua natura di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto deriverebbe necessariamente il perseguimento di uno scopo esclusivo di religione e di culto, equiparabile ai fini tributari a quello di beneficenza o di istruzione, non trova alcuna giustificazione nella normativa che regola le attività degli enti ecclesiastici.
Normativa che prevede e disciplina espressamente la possibilità che tali enti svolgano anche attività diverse da quelle di religione o di culto.
Secondo il ricorrente invece l’equiparazione porterebbe di diritto a fruire della agevolazione dell’esenzione dell’imposta di successione.
La motivazione della sentenza
Nella motivazione della sentenza, è stata richiamata la legge n. 222 del 1985, contenente disposizioni sugli enti e sui beni ecclesiastici in Italia. Il riferimento specifico riguarda:
- l’articolo 15, in base al quale gli enti ecclesiastici, se civilmente riconosciuti, possono, nel rispetto delle leggi sello Stato, svolgere liberamente attività diverse da quelle di religione o di culto
- l’articolo 16, che considera attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero, e dei religiosi a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. Sono considerate attività diverse da quelle religiose e di culto, quelle di assistenza e di beneficenza, istruzione, educazione, cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.
Conclusioni
Sulla base delle normativa richiamata, potendo un ente ecclesiastico svolgere una molteplicità di attività, il regime tributario in concreto applicabile non può essere determinato sulla base della natura ecclesiastica del soggetto, bensì tenendo conto dell’attività in concreto esercitata dallo stesso (elemento oggettivo), che può o meno coincidere con il fine dichiarato nell’atto costitutivo. Nei fatti l’ente non rispetta il requisito dell’esclusività dello svolgimento di attività finalizzate all’assistenza, allo studio, alla ricerca scientifica ecc. Esclusività richiesta dal suddetto comma 1 dell’art.3 sopra trattato.
Ciò non esclude che l’esenzione possa comunque essere ottenuta, ma solo in presenza dei presupposti di cui al comma 2; quindi a condizione che il trasferimento sia avvenuto per una delle finalità agevolate, di cui al comma 1.
Da qui, l’ente avrebbe dovuto dimostrare che il trasferimento gratuito era stato disposto per perseguire una delle finalità di:
- assistenza,
- studio,
- ricerca scientifica,
- educazione,
- istruzione,
- altre finalità di pubblica utilità;
ma l’ente non ha mai fornito tale prova.
In considerazione di ciò, la Cassazione ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione da parte dell’Agenzia delle entrate.