Che valore hanno le chat e i gruppi di WhatsApp nel rapporto di lavoro a livello legale? Si può licenziare il lavoratore via WhatsApp? Questi sono alcuni dei dubbi più frequenti e del tutto leciti nell’era della comunicazione digitale. In questi ultimi anni infatti il rapporto con la tecnologia è notevolmente cambiato: è tutto molto smart, siamo sempre più social e (quasi) sempre rintracciabili e raggiungibili in un tempo rapidissimo e praticamente ovunque. Se da un lato questo ha sicuramente dei risvolti positivi, dall’altro bisognerebbe fare delle distinzioni nei vari ambiti di utilizzo.
E’ di qualche giorno fa la notizia di un gruppo di lavoratori di un gruppo della grande distribuzione di elettronica che sono stati licenziati con un semplice messaggino sull’app di messaggistica verde, per giunta arrivato durante il turno di lavoro.
L’ambito di nostro interesse è quello legato ai rapporti di lavoro e nello specifico ci interessa capire quale valore può avere una comunicazione effettuata su WhatsApp dal datore di lavoro al lavoratore e viceversa e anche fra colleghi. Questo soprattutto perché a parte essere uno strumento di comunicazione immediato è, ormai, alla portata di tutti, anche di chi non è in grado di inviare una mail.
Whatsapp per comunicare fra lavoratori e fra datore di lavoro e dipendenti
Whatsapp può essere usato come mezzo di comunicazione aziendale al pari delle email, degli SMS e degli ormai obsoleti FAX e raccomandate.
Pensiamo alle chat aziendali dove si inviano comunicazioni riguardanti l’organizzazione del lavoro. Ma anche al singolo messaggino che può inviare il lavoratore al datore di lavoro per comunicare il numero di certificato medico di malattia.
E’ importante quindi usare questo mezzo con professionalità e usando la massima prudenza per evitare di incorrere in sanzioni disciplinari o richiami.
Come può il datore di lavoro gestire correttamente questi aspetti che se non disciplinati rischiano di creare maggior caos? La soluzione migliore è quella di prevedere all’interno del regolamento aziendale un apposito paragrafo dedicato a questo strumento di comunicazione. In questo modo si va a regolare la condotta dei lavoratori sul luogo di lavoro con una policy ad hoc destinata alle modalità e tempistiche di utilizzo di questa tecnologia di comunicazione.
Ad esempio si potrà decidere come e quando usare whatsapp per comunicare i turni di lavoro, oppure come e quando comunicare le assenze e le malattie ecc.
Sempre nel regolamento aziendale andrà stabilito il diritto alla disconnessione ovvero il diritto per il lavoratore di non essere costantemente reperibile. Si tratta quindi della libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro durante il periodo di riposo o di ferie, senza che questo comprometta la sua situazione lavorativa.
Qual è il valore legale e documentale di una chat di WhatsApp
Sulle chat di WhatsApp ci si scambia qualsiasi tipo di informazione, confidenza e spesso lamentela: dobbiamo quindi capire se queste hanno un valore legale e quali sono quindi le regole da capire. Diverse infatti sono le sentenze che hanno identificato le chat dell’app di messaggistica come delle vere e proprie prove documentali; forti anche del fatto che già nel passato vi erano stati casi in cui si era data importanza probatoria ai messaggi all’epoca SMS ed MMS.
Tornando alla tecnologia attuale singolare è la decisione del Tribunale di Catania, sezione Lavoro che con ordinanza del 27.06.2017 ha stabilito che il licenziamento intimato ad un dipendente utilizzando l’app del gruppo Meta avesse pienamente assolto l’onere della forma scritta di cui all’art. 2 della L. 604/1966.
La decisione del Tribunale si è basata sostanzialmente su questi punti:
- il messaggio inviato con WhatsApp può identificare sia il mittente, ossia il datore di lavoro, sia il destinatario, quindi il lavoratore.
- il messaggio fornisce chiaramente indicazione di invio, ricezione ed e lettura attraverso l’utilizzo delle diverse spunte.
Per quanto indicato sopra, quindi, seppur in modo singolare un “semplice” messaggio di WhatsApp può essere assimilato ad una raccomandata postale o ad una pec.
Come detto le chat hanno valore documentale e non è necessario che le critiche siano rivolte direttamente al datore di lavoro quale destinatario del messaggio. E’ questo il caso di una chat WhatsApp inviata da un dirigente alla moglie dell’amministratore unico; questa denota un atteggiamento ostile verso l’azienda ponendo in essere strategie di tipo intimidatorio-ricattatorio giustificandone il licenziamento. (Tribunale di Fermo, decreto 1973 del 2017).
Allo stesso modo il Tribunale di Milano (sent. del 30/05/2017) ha ritenuto giusta causa di licenziamento l’aver creato un gruppo tra colleghi su WhatsApp destinato a offendere il datore di lavoro. La condotta del lavoratore è stata ritenuta intenzionalmente volta a denigrare il proprio “capo” utilizzando termini offensivi e denigratori.
In definitiva è bene per i lavoratori prestare maggiore attenzione a quanto viene comunicato all’interno delle singole chat o gruppi poiché quello che apparentemente potrebbe sembrare un “semplice” sfogo o un gioco innocuo dovuto ad una particolare circostanza potrebbe costare molto caro; si può arrivare addirittura al licenziamento e chissà mai che il datore di lavoro non voglia usare lo stesso canale di comunicazione per intimarlo!
Licenziamento individuale e collettivo via whatsapp: cosa cambia?
Il licenziamento individuale e il licenziamento collettivo prevedono forme e procedura diversi e pertanto non in tutti i casi è possibile l’uso di whatsapp per intimarli.
Tornando al caso del licenziamento nella GDO di elettronica dei giorni scorsi il messaggio inviato ad una moltitudine di lavoratori indicava:
Il suo rapporto di lavoro cessa contestualmente con la ricezione della presente con Suo esonero dal prescritto periodo di preavviso, in luogo del quale Le sarà erogata la corrispondente indennità sostitutiva. La invitiamo a restituire senza dilazione ogni bene aziendale che fosse ancora in suo possesso.
In questo caso specifico la procedura di licenziamento non sembra essere corretta dato che seppur presente la forma scritta del licenziamento sembra essere rispettata, quello che lascia dubbi è il numero di dipendenti al quale è stato inviato.
Nel licenziamento individuale lo strumento utilizzato per trasmetterla non è rilevante, conta solo la forma scritta. Conta però dimostrare che il destinatario abbia effettivamente ricevuto la comunicazione e ne abbia preso conoscenza. In tali circostanze, spetta pertanto al datore di lavoro fornire la prova di aver adempiuto a questo obbligo quando procede con il licenziamento. Se il dipendente contesta il provvedimento per le modalità utilizzate, sostenendo di non aver ricevuto la comunicazione, è responsabilità del datore di lavoro dimostrare che il dipendente l’abbia effettivamente ricevuta.
Nel caso in oggetto però quello che preclude l’uso di whatsapp è che si tratta di un licenziamento collettivo, dato che riguarda un numero elevato di lavoratori (si parla di circa 200 persone licenziate), Pertanto è necessario lo svolgimento di una particolare procedura di licenziamento stabilita, ai sensi della l. 223/1991, la quale richiede la comunicazione prima ai sindacati, oltre all’individuazione preliminare delle categorie di lavoratori da licenziare. Ecco perchè non è possibile usare whatsapp per un licenziamento collettivo.