La Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro ha rilasciato un approfondimento del 14/01/2016 circa l’utilizzo della email aziendale.
Si tratta di un approfondimento generale oltre che un’ottima guida pratica all’utilizzo della email aziendale fra privacy e diritti dell’azienda al buon uso della posta elettronica in azienda anche alla luce di recenti sentenze e indicazioni da parte del Garante della Privacy.
Secondo una recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo datata 12 gennaio 2016 il datore di lavoro può controllare la casella di posta aziendale del lavoratore in quanto strumento conferitogli per svolgere le attività lavorative. Secondo la Corte la verifica dell’email aziendale da parte del datore è legittima, nonostante rappresenti una violazione alla privacy del lavoratore, purché l’ingerenza sia limitata.
Anche la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro è d’accordo con questa sentenza, infatti in questo ultimo approfondimento sostiene la necessità di derubricare l’intero quadro normativo e sanzionatorio di riferimento, che appare spropositato rispetto alle dinamiche aziendali. L’Italia, in particolare, è un caso quasi isolato di garantismo eccessivo sul tema, come dimostra il confronto con gli altri Paesi riportato all’interno del documento.
Utilizzo della email aziendale
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul licenziamento del dipendente che utilizzava la e-mail di lavoro per uso personale – in linea di principio – non può e non deve stupire perché in quanto mezzo di lavoro per comunicare, la posta elettronica aziendale nasce con una finalità precisa.
Dunque, l’azienda deve avere il diritto di sapere quali comunicazioni escono verso l’esterno. Un principio che prima dell’estate, nell’ambito del decreto attuativo del Jobs Act approvato dal Governo, è stato rinforzato con la modifica dell’art 4 dello Statuto dei Lavoratori. L’azienda, in base al nuovo dettato normativo, infatti potrà più in generale effettuare controlli a distanza sui propri dipendenti attraverso impianti audiovisivi (pc, tablet, telefoni aziendali) senza la necessità di accordi sindacali preventivi.
A tal riguardo si specifica che l’impiego di strumenti di controllo deve essere giustificato da esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e in ogni caso subordinatamente ad un accordo sindacale o ad una autorizzazione amministrativa da parte della Direzione Territoriale del Lavoro.
Di particolare importanza è tuttavia la precisazione che il percorso autorizzativo suddetto non sia necessario per gli strumenti che servono al dipendente per eseguire la prestazione lavorativa e per quelli necessari per registrare gli accessi e le presenze.
Secondo i nuovi principi inoltre si stabilisce che le informazioni acquisite siano utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, ivi compreso pertanto quelli disciplinari. La nuova normativa, pur nel rispetto della normativa in materia di privacy, si pone l’obiettivo di attualizzare i sistemi di controllo al contesto sociale odierno, nella consapevolezza che l’attuale impianto normativo risale all’anno 1970 nel quale ovviamente lo sviluppo informatico e telematico aveva ben altre prospettive.
In tale contesto si ritiene positiva l’ipotesi di riforma volta non al controllo indiscriminato del lavoratore nella sua attività lavorativa, ma tendente a tutelare l’impresa dall’utilizzo improprio dei nuovi strumenti di comunicazione. Più in generale, si dovrebbe procedere ad una derubricazione dell’intero quadro normativo e sanzionatorio di riferimento che appare assolutamente spropositato rispetto alle dinamiche aziendali. D’altronde, l’Italia è un caso quasi isolato di garantismo eccessivo sul tema; e basta dare uno sguardo agli altri sistemi nazionali per averne conferma.
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