Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una somma che matura durante tutto il periodo in cui il dipendente è in forza presso il datore di lavoro, ma quando deve essere pagato al dipendente? La liquidazione di fine rapporto è un istituto particolare, dal momento che rientra nei casi di retribuzione differita.
Tutti sanno che le somme erogate a titolo di retribuzione, lavoro supplementare o straordinario (solo per citarne alcune) vengono riconosciute nello stesso mese di maturazione (o al massimo in quello successivo). Si pensi alla retribuzione maturata nel mese di Giugno 2018 liquidata dall’azienda al massimo nella prima metà del mese successivo (Luglio). Per questo si parla di retribuzione corrente.
Il TFR, invece, si definisce retribuzione differita perché è una somma che matura tutti i mesi, ma la sua liquidazione avviene in un periodo successivo, nondimeno alla cessazione del rapporto di lavoro. Per questo, tra maturazione ed effettiva erogazione possono trascorrere mesi o addirittura anni.
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In generale le somme spettanti a titolo di TFR devono essere pagate all’atto della cessazione del rapporto o nel diverso termine eventualmente previsto dal contratto collettivo. Fanno eccezione i casi di anticipazione di parte del TFR maturato, nel rispetto comunque di limiti di legge o di contratto collettivo.
Per i dipendenti di lungo corso, l’ammontare del TFR da liquidare può raggiungere livelli ragguardevoli in grado anche di portare l’azienda in una situazione di difficoltà, qualora la stessa non abbia la liquidità necessaria.
Per questo, il pagamento del TFR è tema alquanto delicato che merita un’analisi approfondita.
Quando va pagato il TFR? La regola generale
Il TFR va pagato al dipendente all’atto della cessazione del rapporto, a meno che il contratto collettivo non disponga diversamente.
Qualsiasi ritardo nella liquidazione delle somme comporta il pagamento dell’intero importo maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria. Vi può essere altresì un accordo scritto fra le parti per pagarlo un po’ alla volta, ma comunque pagando i dovuti interessi; in pratica è un po’ come se fosse un prestito che il lavoratore fa al datore.
Citiamo a titolo di esempio il caso di un dipendente che si dimette il 30 Giugno 2018. Il datore, dovendogli erogare nella stessa data il TFR, può non essere in possesso di tutti gli elementi necessari per stabilirne correttamente l’importo. Secondo la Cassazione (sentenze n. 1040 e 4822 del 2002) il lavoratore ha diritto di ricevere il TFR all’atto della cessazione, a prescindere dal fatto che il datore abbia tutti i parametri utili per il calcolo.
Rivalutazione TFR, come funziona
Come avviene per la rivalutazione delle quote di TFR. Alla cessazione del rapporto, la quota di TFR maturata in capo al dipendente al 31 dicembre dell’anno precedente dev’essere aumentata, a titolo di rivalutazione, in misura pari a:
- Un tasso annuo dell’1,5% da riparametrare in caso di cessazione in corso d’anno (nell’esempio precedente essendo cessato in Giugno 2018 il tasso è pari allo 0,75% cioè 1,5/12 = 0,125 moltiplicato per 6 mesi);
- Un tasso variabile ricavato dall’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
Dal momento che i dati Istat vengono pubblicati sempre il mese successivo rispetto a quello cui si riferiscono (per ovvie esigenze di raccolta ed elaborazione dati), per stabilirne correttamente l’importo il datore dovrebbe posticipare il pagamento del TFR.
Riprendendo l’esempio precedente, l’azienda è chiamata a calcolare la rivalutazione del TFR al 31/12/2017 moltiplicandolo per:
- Un tasso fisso dello 0,75%;
- Un tasso variabile ricavato dall’indice Istat dei prezzi al consumo di Giugno 2018 pubblicato però a metà Luglio.
Per avere un importo corretto, il TFR si dovrebbe pagare non all’atto della cessazione (il 28 Giugno 2018), ma dopo la pubblicazione dell’indice Istat di Giugno. La Cassazione (sentenza n. 1040/2002) per ovviare alla problematica ha ammesso la possibilità di liquidare immediatamente le quote di TFR maturate e già rivalutate, per poi pagare in un secondo momento la parte restante sulla base dell’indice Istat aggiornato.
Quando deve essere pagato il TFR? Eventuale scadenza prevista dal contratto collettivo
Il TFR deve essere pagato entro la scadenza prevista dal contratto collettivo applicato. In assenza di previsioni in tal senso si applica la regola generale della liquidazione all’atto della cessazione. In caso di erogazione tardiva rispetto al termine fissato dal CCNL, l’importo del TFR è aumentato a titolo di interessi e rivalutazione monetaria.
Il CCNL Metalmeccanica – Industria impone ad esempio il pagamento entro 30 giorni dalla data di pubblicazione dell’indice Istat.
Nell’esempio precedente, ipotizzando la pubblicazione dei dati statistici di Giugno il 15 Luglio 2018, il datore avrebbe dovuto erogare il TFR entro il 14 Agosto.
Pagamento TFR in anticipo
Una parte del TFR può essere anticipata nel corso del rapporto di lavoro, in deroga alla regola generale che ne impone la liquidazione solo all’atto della cessazione o entro l’eventuale scadenza fissata dal CCNL.
A disciplinare l’istituto dell’anticipazione è il codice civile articolo 2120. E’ diritto del lavoratore di chiedere una sola volta nel corso del rapporto una parte del TFR maturato e rivalutato. Vi è comunque un limite da richiedere pari al 70% della somma spettante e può essere richiesta al ricorrere delle seguenti condizioni:
- anzianità di servizio presso il datore pari almeno a 8 anni;
- il numero di richieste di anticipazione avanzate al datore non deve eccedere il 10% annuo degli aventi diritto e comunque il 4% del numero totale dei dipendenti;
- la richiesta dev’essere giustificata dalla necessità di sostenere:
- spese sanitarie (terapie e interventi straordinari anche se riguardanti un familiare),
- acquisto o ristrutturazione prima casa per sé o per i propri figli,
- costi da sostenere durante l’astensione facoltativa per maternità o i congedi per la formazione continua o extra-lavorativa.
Le richieste devono essere accolte secondo l’ordine cronologico di presentazione. E’ fatta comunque salva la facoltà dei contratti collettivi (anche aziendali) o degli accordi individuali, di prevedere condizioni di miglior favore.