Aumentano in Italia le aziende che introducono la settimana corta: la possibilità di lavorare meno giorni e senza avere delle penalizzazioni su stipendi e salari. Almeno nella maggior parte delle occasioni.
Dopo Intesa Sanpaolo, anche Sace, Lamborghini e Luxottica stanno introducendo questa importante novità, che, è bene premettere, non può essere introdotta in molte aziende, per il modo in cui il lavoro deve essere strutturato.
Ma in cosa consiste e come funziona la settimana lavorativa corta? E soprattutto quando può essere applicata. Scopriamolo insieme.
Settimana corta lavorativa: lavorare meno a fronte dello stesso stipendio
Uno degli slogan della settimana corta potrebbe essere quello di lavorare meno a fronte dello stesso stipendio. È proprio la filosofia che sta alla base della riduzione dei giorni al lavoro continuando a mantenere la stessa busta paga, che sembra suscitare l’interesse dei lavoratori e di molte aziende.
Che la settimana corta si possa adottare, con buona pace di tutti, lo dimostra una sperimentazione che è stata effettuata nel Regno Unito, dove la settimana corta è stata introdotta in molte aziende e si è sempre dimostrata come un vero e proprio successo.
Lo studio ha coinvolto qualcosa come 2.900 lavoratori e 61 diverse aziende. I dati diffusi hanno mostrato che la settimana lavorativa di quattro giorni ha portato ad un aumento dei ricavi per le aziende dell’1,4% e ad un aumento del benessere dei lavoratori. Il 39% di questi ultimi ha dichiarato di essere meno stressato. Oltre la metà dei dipendenti ha affermato di riuscire a conciliare meglio il lavoro con la vita personale.
Ma non solo. Il numero di persone che ha cambiato lavoro mentre c’era la settimana corta è diminuito del 57% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Come funziona e in cosa consiste la settimana corta lavorativa
La settimana corta è un periodo di lavoro più breve, a parità di stipendio. Una risposta di questo genere, però, è superficiale.
Con settimana corta ci si riferisce ad un arco temporale lavorativo di quattro giorni invece dei consueti cinque. L’orario può rimanere invariato. Anche se può venire ridotto. Nella maggior parte dei casi lo stipendio non viene toccato o, al massimo, viene ridotto di poco.
L’obiettivo della settimana corta, in estrema sintesi, è quello di riuscire ad ottenere una maggiore flessibilità del lavoro. Oltre che una maggiore attrattività. Si cerca, inoltre, di aumentare il benessere dei lavoratori e di ridurre il loro livello di stress, permettendo di far conciliare meglio il lavoro e la vita privata.
Le esperienze nel mondo
Oltre all’esperimento effettuato nel Regno Unito sono diversi i paesi che hanno introdotto ed implementato la settimana corta. Tra le esperienze da ricordare c’è quella dell’Islanda, nella quale dopo una prova condotta nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2019 ha visto crescere il benessere dei lavoratori oltre che della produttività.
In Belgio, ad esempio, la settimana corta è stata introdotta nel 2022, quando è stato anche varato il diritto alla disconnessione, che adesso viene sempre inserito negli accordi di smart working (diritto introdotto anche in Italia).
La settimana corta è stata introdotta anche in Giappone. Ricordiamo che in questo paese è presente una cultura lavorativa molto rigida e dove risulta essere comune il fenomeno detto karoshi: la morte per troppo lavoro. In questo caso la settimana corta viene utilizzata solo da alcune multinazionali.
Le sperimentazione è stata introdotta in altri paesi, come ad esempio:
- Portogallo;
- Emirati Arabi Uniti;
- Scozia;
- Spagna;
- Nuova Zelanda.
Il futuro della settimana corta in Italia
Dopo il successo della settimana lavorativa corta nel Regno Unito se ne inizia a parlare sempre di più anche in Italia. A spingere il Governo verso un confronto sono stati i sindacati. Di recente l’Esecutivo ha aperto la porta alla sperimentazione. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, si è espresso positivamente sulla possibilità di un dialogo in questo senso. Anche se ha precisato che è necessario un attento ragionamento.
Il dibattito si è aperto ufficialmente intorno alla proposta di legge presentata dal PD, che prevede – stando a quanto si legge nella relazione illustrativa – un incentivo alla
sperimentazione di quelle soluzioni che contestualmente consentano incrementi della produttività e riduzione dell’orario di lavoro, a parità di retribuzione.
Per centrare quest’obiettivo si prevede
l’incentivo del parziale esonero dal versamento dei contributi, nella misura del 30 per cento dei complessivi contributi previdenziali dovuti, con esclusione dei premi e dei contributi spettanti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente cui si applicano i contratti collettivi tra le imprese e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.