Molti avranno sentito parlare di primo welfare o welfare state per indicare l’insieme delle politiche che lo Stato attua per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, grazie a istruzione, assistenza sanitaria, prestazioni assistenziali (copertura economica per gli eventi di malattia e maternità) e previdenziali (pensioni).
Complice la crisi delle finanze pubbliche conosciuta lo scorso decennio e il crescente aumento dei bisogni dei cittadini, ci si è resi conto che lo Stato non è più in grado di far fronte da solo alla domanda di prestazioni e servizi. Ecco allora che si è fatto largo il cosiddetto “secondo welfare”, o welfare aziendale in cui datori di lavoro, aziende, enti no profit ed associazioni si impegnano a garantire assistenza a cittadini e lavoratori dipendenti.
Quest’ulteriore forma di welfare aziendale si concentra soprattutto nelle aziende dove, complice anche una normativa fiscale favorevole, è diffusa l’esigenza di riconoscere beni e servizi ai lavoratori al fine di migliorarne il benessere, favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, oltre ad aumentare la produttività e l’immagine aziendale.
Ogni politica di welfare aziendale, introdotta per scelta autonoma del datore di lavoro o per obbligo imposto da un accordo collettivo, aziendale o territoriale, dev’essere guidata dalla stesura di un apposito piano operativo.
Analizziamo in dettaglio cos’è il piano di welfare, come funziona e qual è la sua utilità.
Cos’è un piano di welfare aziendale
Possiamo definire un piano di welfare aziendale come l’insieme delle azioni progettate ed attivate dal datore di lavoro per l’erogazione di beni e servizi con, da un lato, un impatto positivo, dal punto di vista economico – sociale, per i dipendenti e le loro famiglie e, dall’altro, notevoli vantaggi fiscali per l’azienda stessa.
Grazie al piano di welfare è possibile:
- Aumentare la produttività;
- Diminuire il malcontento in azienda e, di conseguenza, il numero di dipendenti dimissionari;
- Incrementare la capacità di attrarre nuovi talenti;
- Favorire il senso di appartenenza dei lavoratori all’azienda;
- Migliorare l’immagine aziendale;
- Diminuire l’assenteismo;
- Ridurre il costo del lavoro.
A tutto questo si aggiunge l’aumento del potere d’acquisto dei dipendenti, fondamentale soprattutto in questo particolare momento storico con un’inflazione a livelli allarmanti ed i prezzi di generi alimentari, utenze luce e gas e carburanti che rendono agli italiani ancor più difficile arrivare alla fine del mese.
Come costruire un piano di welfare?
I bisogni
Il primo passaggio per costruire un piano di welfare è comprendere le esigenze dei dipendenti. Per farlo si può ricorrere ad un semplice questionario, cartaceo o pubblicato sul portale online dell’azienda.
Al tempo stesso, il datore di lavoro deve interrogarsi anche sui suoi bisogni e priorità come, ad esempio, migliorare la produttività, l’efficienza o la qualità dei beni / servizi o ancora ridurre l’assenteismo dei dipendenti.
Il budget
Definite le priorità per i dipendenti e il datore di lavoro, è necessario chiedersi a quanto ammontano le risorse economiche da impegnare per la realizzazione del piano di welfare.
E’ altresì fondamentale valutare se la liquidità è (e sarà) tale da consentire azioni pluriennali o semplicemente prorogabili di anno in anno a seconda dell’evoluzione della situazione economico-produttiva.
Va da sé che un piano di lungo periodo ha un maggior impatto in termini di benessere dei lavoratori (i quali percepiscono l’impegno e l’attenzione dell’azienda nei loro confronti) e di immagine all’esterno, fondamentale per attrarre giovani e nuovi talenti, soprattutto nei settori in cui determinate professionalità scarseggiano e la concorrenza per assumerle è forte.
Cosa prevedono il Ccnl e i regolamenti interni
Il Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) ed eventuali regolamenti interni possono già prevedere azioni di welfare in favore dei dipendenti.
In tal senso l’azienda è chiamata a considerare gli strumenti già a sua disposizione, previsti appunto da Ccnl e regolamenti, inserendoli all’interno del piano di welfare.
Definire il paniere di beni e servizi
Raccolte le informazioni citate nei punti precedenti, l’azienda ha ormai sul tavolo tutte gli elementi necessari per scegliere quali beni e servizi mettere a disposizione dei dipendenti.
Informare i dipendenti
Il datore di lavoro deve valutare la modalità migliore per informare i dipendenti dell’adozione del piano di welfare.
Il successo e gli effetti benefici dell’erogazione di beni e servizi passano naturalmente attraverso una larga partecipazione dei lavoratori.
Un passaggio ulteriore è quello di realizzare piccoli percorsi formativi o video – tutorial per l’utilizzo e la fruizione dei servizi di welfare.
Saper valutare l’impatto del piano di welfare
Nel corso dell’attuazione del piano di welfare e al termine dello stesso, il datore di lavoro valuta:
- Il livello di adesione dei lavoratori;
- Le eventuali difficoltà riscontrate dai dipendenti nell’accesso a beni e servizi;
- L’esistenza di dipendenti che non erano a conoscenza del piano di welfare;
- I beni e i servizi più richiesti e quelli, al contrario, inutilizzati o quasi.
A seguire è necessario comprendere e valutare gli effetti del piano rispetto agli obiettivi iniziali. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per definire le correzioni e le modifiche da attuare in sede di rinnovo del programma di welfare.
Quali forme può assumere il welfare aziendale?
Il welfare aziendale può concretizzarsi in:
- Specifiche modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, come la flessibilità dell’orario;
- Riconoscimento di una retribuzione non monetaria ovvero una prestazione previdenziale o assistenziale (integrativa o complementare), grazie all’erogazione di beni in natura o fringe benefit.
Da notare che sia i benefit che le misure di welfare non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente, in misura totale o parziale.
Peraltro, con la Risposta ad Interpello del 25 gennaio 2019 numero 10 l’Agenzia entrate ha chiarito che, per accedere all’esenzione fiscale, è necessario che i benefit siano offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di essi.
In concreto, il welfare aziendale può concretizzarsi in:
- Assistenza sanitaria;
- Somministrazione di vitto;
- Servizi di trasporto collettivo;
- Abbonamenti al trasporto pubblico;
- Servizi ed opere con finalità di istruzione, educazione, ricreazione, culto, assistenza sanitaria e sociale (ad esempio la partecipazione a corsi professionali ed extraprofessionali, corsi di lingua, abbonamenti a cinema e teatri, quotidiani, centri sportivi, pacchetti viaggio);
- Somme, servizi e prestazioni di istruzione ed educazione (iscrizioni ad asili nido, università e master);
- Somme, servizi e prestazioni per l’assistenza di familiari anziani e / o non autosufficienti;
- Contributi e premi contro il rischio di non autosufficienza o gravi patologie;
- Contributi versati alla previdenza complementare.
Si precisa inoltre che i premi di risultato, per scelta del lavoratore, possono essere convertiti in welfare aziendale. In tal caso i premi stessi non costituiscono reddito da lavoro dipendente, a patto che:
- L’erogazione del premio avvenga in esecuzione di un contratto collettivo aziendale o territoriale;
- Nel contratto sia prevista una clausola che preveda la conversione del premio in welfare;
- L’azienda abbia raggiunto gli obiettivi previsti nel contratto, come condizione per il riconoscimento del premio;
- Il dipendente abbia totalizzato nell’anno precedente un reddito inferiore a 80 mila euro.
In caso di conversione del premio in contributi assistenziali, è prevista l’esenzione fiscale fino ad un massimo di 3.615,20 euro. A tale cifra potrà aggiungersi l’ulteriore importo dei contributi esclusi dal reddito, nel limite di 3 mila euro (elevati a 4 mila in caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori in azienda).
Nell’ipotesi, al contrario, di conversione del premio in contributi alla previdenza complementare, la contribuzione stessa non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente fino ad un massimo di 5.164,57 euro annui. A quest’ultimo valore potrà aggiungersi l’ulteriore importo dei contributi esclusi dal reddito, sempre rispettando il limite di 3 mila / 4 mila euro.