Il periodo di comporto consiste in un lasso di tempo, in cui il lavoratore pur assente dal lavoro per malattia ha il diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. Questo periodo di tempo è generalmente stabilito dalla legge e regolato dai contratti collettivi o, in mancanza di riferimenti, dagli usi e dalla prassi.
In sostanza questa tutela opera come uno schermo protettivo per il lavoratore: finché è operativo il datore può licenziare il dipendente solo per giusta causa o per giustificato motivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione o cessazione totale dell’attività d’impresa.
Ma ora vediamo in generale cosa stabilisce la legge e cosa regola il contatto collettivo e poi entriamo nel dettaglio su calcolo e durata del comporto, per poi finire con l’individuazione della scadenza e i casi di interruzione.
Periodo di comporto per malattia: cosa dice la legge
La legge si preoccupa di fissare la durata del comporto per gli impiegati, fatte salve condizioni di miglior favore dei contratti collettivi. Discorso diverso per gli operai. Qui opera solo il contratto collettivo di riferimento.
Art. 2110 codice civile: […] l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.
Il CCNL definisce:
- Durata del periodo di comporto;
- Arco temporale di riferimento, se anno solare (365 giorni decorrenti dal primo evento di malattia o a ritroso dalla data di licenziamento) o di calendario (1° gennaio – 31 dicembre);
- Modalità di calcolo (in questo caso si parla di comporto “secco” o “per sommatoria”).
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Al termine del comporto il rapporto prosegue, a meno che l’azienda non decida di recedere dal contratto. In tal caso valgono le regole fissate per i normali licenziamenti: il datore deve rispettare il periodo di preavviso e specificare i motivi che hanno determinato il licenziamento.
Il licenziamento intimato prima che sia decorso il comporto e motivato unicamente dal perdurare dello stato di malattia è da considerarsi nullo perché contrario a una norma imperativa di legge (l’articolo 2110 del codice civile).
Il lavoratore può interrompere il decorso del comporto chiedendo di cambiare il motivo dell’assenza da malattia a ferie o aspettativa. Il datore da parte sua, ha chiarito la Cassazione, non ha alcun obbligo di convertire d’ufficio l’assenza per malattia in ferie, dal momento che la fissazione del periodo feriale è sua prerogativa esclusiva, legata alle esigenze aziendali.
Vediamo nel dettaglio le regole fissate da legge e contratti collettivi per il lasso del comporto.
Cos’è il periodo di comporto
Il periodo di comporto è un lasso di tempo in cui il lavoratore subordinato assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto.
Detto ciò bisogna vedere quindi quanto dura questo periodo, come si può interrompere e cosa succede al termine, ovvero se viene superato il comporto.
Quanto dura il comporto
La durata del comporto varia a seconda che si parli di impiegati o operai. Per i primi, la durata è regolamentata dalla legge (art. 6 Regio Decreto Legge n. 1825/24) in relazione all’anzianità di servizio:
- 3 mesi quando l’anzianità di servizio non supera i dieci anni;
- 6 mesi se l’anzianità supera i dieci anni.
Tuttavia, se il contratto collettivo prevede condizioni di miglior favore, si applicano queste ultime.
Per gli operai, invece, il periodo di comporto per malattia è fissato unicamente dal contratto collettivo.
Il CCNL Commercio e terziario – Confcommercio prevede ad esempio la conservazione del posto per un periodo di 180 giorni in un anno solare, a prescindere se il lavoratore subordinato è operaio o impiegato. In questo caso, per gli impiegati, essendo previsione di miglior favore, si applica il CCNL.
Come la durata, anche l’arco temporale di riferimento è stabilito dal contratto collettivo. Questo può essere l’anno solare (365 giorni decorrenti da una determinata data) o di calendario (periodo 1° gennaio – 31 dicembre). Il CCNL Metalmeccanica industria prevede ad esempio che i periodi di conservazione del posto si riferiscano alle assenze verificatesi nei 3 anni precedenti l’ultimo evento di malattia.
Come fare il calcolo del comporto: secco, per sommatoria o frazionato
Il calcolo del comporto è stabilito sempre dal contratto collettivo applicato. Le ipotesi riguardano il comporto secco e il comporto per sommatoria o frazionato:
- Comporto secco: se il periodo di conservazione del posto è riferito ad un unico e ininterrotto evento di malattia;
- Comporto per sommatoria o frazionato: se per il tempo di comporto si sommano le malattie verificatesi in un determinato arco temporale.
Esaminando il CCNL Chimici farmaceutici industria si nota che il periodo di conservazione del posto è pari a:
- 8 mesi per chi ha un’anzianità aziendale fino a 3 anni;
- 10 mesi per anzianità oltre 3 anni e fino a 6;
- 12 mesi per chi è in azienda da oltre 6 anni.
I suddetti periodi possono riferirsi ad un unico evento di malattia (comporto “secco”) o alla somma di più assenze nell’arco di 36 mesi (comporto “per sommatoria”).
Se il contratto collettivo prevede il solo comporto “secco” può accadere che il lavoratore si ammali in più occasioni, tutte per un numero di giorni inferiore al limite. In questi casi la Cassazione (sentenza n. 14633/2006) ammette l’utilizzo di un duplice termine di riferimento:
- “Interno” da intendersi come il comporto “secco” previsto dal CCNL;
- “Esterno” rappresentato dal periodo di vigenza del contratto collettivo.
Ipotizziamo l’esistenza di un CCNL con decorrenza 1 gennaio 2016 e scadenza 31 dicembre 2018 (3 anni), che fissa un comporto “secco” di 180 giorni. Il dipendente in 3 anni ha avuto due eventi di malattia:
- Il primo pari a 120 giorni;
- Il secondo protrattosi per 70 giorni.
Se si prende in considerazione il solo limite interno (180 giorni) il lavoratore dipendente non ha superato il periodo di comporto. Applicando invece il criterio della Cassazione si nota come in 3 anni (periodo di vigenza del CCNL) la somma degli eventi di malattia ha oltrepassato la soglia dei 180 giorni. In questo caso il datore può decidere per il licenziamento del dipendente.
Cosa succede quando scade il comporto per malattia
Alla scadenza del periodo di comporto il rapporto di lavoro prosegue normalmente a meno che l’azienda non intenda procedere al licenziamento. Il datore, che non è tenuto ad informare il dipendente dell’approssimarsi della scadenza del lasso di comporto, può intimare il licenziamento nel rispetto del periodo di preavviso imposto dal contratto collettivo applicato.
A differenza dei casi ordinari di licenziamento, in quello per superamento del lasso di tempo di comporto:
- Il recesso non deve essere preceduto dalla procedura di contestazione disciplinare;
- Il datore non deve provare l’esistenza di un giustificato motivo di licenziamento.
Dal punto di vista operativo, una volta terminata la fase di comporto, il datore che intende procedere al licenziamento deve comunicarlo all’interessato tempestivamente. Secondo la Cassazione (sentenza n. 23920/2010) l’inerzia prolungata dell’azienda, peraltro accompagnata da comportamenti incompatibili con la volontà di far cessare il rapporto (ad esempio l’assegnazione di nuovi compiti o direttive), equivale a rinuncia al licenziamento.
La tempestività non dev’essere intesa in maniera assoluta, essendo concesso all’azienda un breve periodo di tempo per stabilire con certezza (con i relativi conteggi) se il comporto è stato superato.
Nella comunicazione di licenziamento il datore dovrà fare riferimento unicamente ai periodi di assenza del lavoratore (che sostituiscono la motivazione da indicare nei licenziamenti ordinari). Sul punto la Cassazione è divisa:
- Secondo un primo orientamento è necessario indicare i singoli giorni di assenza;
- Per altro verso, è sufficiente che l’azienda indichi il numero totale dei giorni di assenza.
In via prudenziale, è opportuno attenersi al primo orientamento.
Come si interrompe il comporto
L’interruzione del comporto può avvenire dietro richiesta del lavoratore di godere delle ferie già maturate. Salvo che il CCNL non disponga diversamente, il dipendente non ha un diritto incondizionato di mutare l’assenza da malattia a ferie, dal momento che queste vengono concesse unilateralmente dal datore, il quale dovrà comunque tenere in debita considerazione l’interesse del richiedente a evitare la perdita del posto di lavoro.
Per lo stesso motivo, se il contratto collettivo lo prevede, il dipendente può inoltrare richiesta di aspettativa non retribuita e scongiurare il superamento del comporto.