L’indennità di disoccupazione Naspi è un sussidio mensile che spetta al lavoratore che, a determinate condizioni contributive, perde involontariamente il proprio lavoro. Tuttavia come conferma anche l’INPS nel messaggio 369/2018 esistono numerosi casi in cui è possibile accedere alla NASpI anche a seguito di dimissioni.
Ma quindi la domanda è: se mi licenzio ho diritto alla disoccupazione? Prima di vedere se è possibile prendere la disoccupazione in caso di dimissioni andiamo con ordine e vediamo in breve cos’è la NASpI e quali sono i requisiti per eccedervi.
Cos’è la NASpI
Partiamo col dire che la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego è una prestazione a sostegno del reddito, istituita a partire dal 1° maggio 2015 con Decreto Legislativo 22/2015 in attuazione del Jobs Act che ha preso il posto della ASpI e mini ASpI che a loro volta avevano preso il posto della indennità di disoccupazione ordinaria e con requisiti ridotti.
Ricapitoliamo ora in breve quali sono i requisiti per accedere alla Naspi: stato di disoccupazione involontario e requisito contributivo. Ricordiamo che ad oggi il requisito lavorativo, ossia le 30 giornate di lavoro effettivo negli ultimi 12 mesi è stato abrogato.
Requisito contributivo e lavorativo NASpI
Per quanto riguarda gli ultimi due in breve, per poter accedere alla nuova disoccupazione Naspi il lavoratore deve poter far valere almeno 13 settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione (requisito contributivo). Come detto in premessa il requisito lavorativo ovvero almeno trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione non è più necessario per accedere alla disoccupazione.
Inoltre a differenza delle vecchie disoccupazioni ordinaria e Aspi, non è più previsto il cosiddetto requisito di anzianità d’iscrizione il quale prevedeva che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, fossero trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione per poter accedere alla prestazione.
Requisito dello Stato di disoccupazione
L’oggetto di questa guida è la possibilità di avere la Naspi a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale. Per poter accedere alla indennità di disoccupazione infatti uno dei requisiti fondamentali, come elencato sopra è lo Stato di disoccupazione involontario.
E’ chiaro quindi che:
- se si lavora non si può prendere contemporaneamente la NASpI (anche se pure per questa affermazione esistono delle eccezioni);
- il lavoratore deve perdere il lavoro contro la sua volontà: quindi a seguito di licenziamento o fine contratto a tempo determinato. Ma anche per dimissioni per giusta causa, dimissioni nel periodo tutelato e altri casi come specificato in seguito.
Si considera inoltre disoccupato il lavoratore privo di impiego, che abbia dichiarato al Centro per l’Impiego la propria immediata disponibilità (D.i.d.) allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro.
Come anticipato sopra esistono però delle eccezioni alla “involontarietà” della perdita del lavoro. Ecco cosa sapere.
Naspi e dimissioni
Partiamo dal presupposto che l’indennità Naspi non spetta al lavoratore nel caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale, tranne che nei casi di seguito specificati.
1. Dimissioni per maternità e NASpI
La lavoratrice (e ora anche il lavoratore) può prendere la NASpI anche a seguito di dimissioni rese durante il periodo tutelato di maternità (o paternità), ex D. Lgs 151/2001 art. 55 così come aggiornato dal D. Lgs 105/2022.
Aggiornamento: con la circolare numero 32 del 21 marzo 2023 l’INPS ha recepito le novità in tema di maternità e paternità di cui al D. Lgs 105/2022, confermando che dall’entrata in vigore della norma anche il lavoratore padre che ha usufruito del congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni ha diritto alla NASpI se si dimette durante il periodo tutelato, al pari della madre, ovvero durante la fruizione del congedo o entro l’anno del figlio.
Per poter accedere alla Naspi le dimissioni devono essere date nel periodo che va dai 300 giorni prima della data presunta del parto fino al compimento del primo anno di vita del figlio per la madre oppure durante il congedo di paternità obbligatorio o alternativo e fino al primo anno di età del bambino per il padre lavoratore.
Nota bene: la NASpI può essere richiesta solo se le dimissioni sono date presso la Direzione Territoriale del Lavoro (INL); non si potrà accedere alla disoccupazione con le normali dimissioni telematiche.
Per quanto riguarda il padre questo diritto si acquisisce, dopo il D. lgs 105/2022 se lo stesso ha usufruito:
- sia del congedo obbligatorio in sostituzione della madre
- sia dopo aver usufruito del congedo papà obbligatorio.
2. NASpI a seguito di dimissioni durante il periodo di sospensione della disoccupazione
Il lavoratore ha altresì diritto a riprendere la NASpI nel caso in cui questa è sospesa, ma il rapporto di lavoro dura meno di 6 mesi, a prescindere se questo termina con le dimissioni anche volontarie del lavoratore.
Nella circolare 94 del 12/05/2015 l’INPS specifica:
Si precisa che la sospensione e la ripresa della prestazione avvengono d’ufficio e che a tal fine è ininfluente l’eventuale cessazione anticipata per dimissioni del lavoratore.
La NASpI prevede infatti che se il lavoratore in disoccupazione trova un altro lavoro subordinato:
- se il lavoro è a tempo indeterminato o se dal lavoro autonomo deriva un reddito annuale superiore agli 8145 euro lordi si produce la decadenza dalla prestazione;
- tuttavia se la durata del rapporto di lavoro a termine non è superiore ai sei mesi si avrà la sospensione della NASpI.
La NASpI nel caso di nuova assunzione a tempo determinato di durata inferiore ai 6 mesi viene sospesa e riprende d’ufficio in base alle comunicazioni obbligatorie Unilav, a prescindere se il rapporto di lavoro termina volontariamente o meno.
Pertanto al termine del rapporto di lavoro semplicemente l’INPS torna a pagare d’ufficio la NASPI dal punto in cui si era interrotta.
Quindi anche a seguito di dimissioni volontarie in caso di NASPi sospesa si potrà ricominciare a percepire la disoccupazione. Tranne se con la nuova occupazione si perda lo status di disoccupato.
Da notare comunque che durante il lavoro a termine non è possibile dare le dimissioni se non:
- per giusta causa
- e durante il periodo di prova
In quest’ultimo caso il lavoratore non deve dare le dimissioni telematiche e non è tenuto a dare il preavviso. Si parla di dimissioni durante il periodo di prova. Quindi in questo caso anche se sono dimissioni volontarie e senza giusta causa, la NASPi sospesa riprende da dove si era interrotta.
Nel caso di dimissioni volontarie senza giusta causa, ove la disoccupazione non era sospesa, NON si potrà fare una nuova domanda di NASpI.
3. Naspi a seguito di dimissioni per giusta causa
Vediamo ora cosa c’è da sapere in merito alle “dimissioni per giusta causa e disoccupazione”, ovvero come avere la disoccupazione Naspi a seguito di dimissioni volontarie per giusta causa. L’INPS con la Circolare 94/2015 fa un breve elenco a titolo esemplificativo dei casi in cui il lavoratore può licenziarsi dal lavoro per giusta causa senza perdere il diritto alla disoccupazione.
Vediamo quali sono i requisiti per dare le dimissioni “per giusta causa” quindi se le dimissioni non sono riconducibili alla libera scelta del lavoratore; ma siano indotte da comportamenti altrui, idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro.
La NASpI deve essere riconosciuta nei casi di dimissioni intervenute per giusta causa, ovvero quando si sia verificata una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro, che “costringe” il lavoratore a dimettersi.
La giurisprudenza nel corso degli anni ha riconosciuto le dimissioni per giusta causa per i seguenti casi:
- mancato pagamento della retribuzione;
- aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
- modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
- mobbing, intendendosi per tale la lesione dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore, a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (per tutte, Corte di Cassazione, sentenza n. 143/2000);
- notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda (Corte di Giustizia Europea, sentenza del 24 gennaio 2002);
- spostamento del lavoratore da una sede aziendale ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” (Corte di Cassazione, sentenza n. 1074/1999).
- comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte di Cassazione, sentenza n. 5977/1985).
Autodichiarazione della volontà di difendersi in giudizio
Contestualmente alla domanda di Naspi il lavoratore deve allegare una autocertificazione a norma di legge in cui dichiara la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti di un comportamento illecito del datore di lavoro, nonché altri documenti come ad esempio:
- le diffide a pagare inviate al datore di lavoro;
- gli esposti;
- le denunce;
- le citazioni;
- i ricorsi d’urgenza ex art. 700 c.p.c.;
- le sentenze;
- ogni altro documento idoneo.
Deve inoltre impegnarsi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale. Qualora le dimissioni siano determinate da mancato pagamento della retribuzione, il lavoratore non dovrà più allegare alcuna dichiarazione da cui risulti la volontà di “difendersi in giudizio”.
Attenzione, se l’esito della controversia non riconosce la giusta causa di dimissioni, l’Inps recupererà la Naspi eventualmente corrisposta.
Disoccupazione a seguito di dimissioni per matrimonio
In questo caso, anche se ci troviamo in un periodo tutelato, dare le dimissioni non permette di accedere alla indennità di disoccupazione.
Come ha confermato la Cassazione in diverse occasioni non spetta nessuna indennità di disoccupazione al lavoratore che presenti le proprie dimissioni in occasione del matrimonio.
Naspi e risoluzione consensuale
Così come per le dimissioni anche a seguito di risoluzione consensuale il lavoratore non ha diritto alla Naspi, tranne che in alcuni casi previsti dalla legge.
La risoluzione consensuale infatti non impedisce il riconoscimento della prestazione di disoccupazione, ossia si potrà accedere alla NASpI dopo:
- la risoluzione consensuale nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro art. 7 L. n. 604 del 1966, come sostituito dalla Legge 28 giugno 2012 n.92;
- il licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui D. Lgs n. 23 del 2015, proposta dal datore di lavoro entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (ex art. 6 della legge n.604 del 1966);
- la risoluzione consensuale intervenuta a seguito del rifiuto del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblici.
la NASpI non spetta infine a seguito a risoluzione consensuale con datore di lavoro avente meno di quindici dipendenti intervenuta nell’ambito del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 cpc.
Disoccupazione e dimissioni nel periodo di prova
Molte volte ci viene chiesto se la NASpI spetta anche in caso di dimissioni nel periodo di prova. Purtroppo questo caso non rientra fra le possibili perdite involontarie del lavoro. Per cui non è possibile fare domanda di NASpI a seguito di dimissioni durante la prova lavoro. Tuttavia è possibile fare richiesta se durante la prova si danno le dimissioni per giusta causa.
Inoltre se le dimissioni durante il periodo di prova intervengono durante una sospensione della disoccupazione NASpI (ad esempio per un contratto a termine sotto i 6 mesi), così come specificato qualche paragrafo sopra, si potrà ricominciare a percepire l’indennità disoccupazione sospesa.
Disoccupazione e dimissioni per giusta causa: rifiuto trasferimento lavoratore 50 km
L’INPS ha rilasciato il messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018 su Naspi e dimissioni confermando e ampliando quanto detto nella presente guida. Il messaggio, diretto alle sedi periferiche, non è stato pubblicato sul sito dell’Istituto, ma è stato reso noto da quotidiani importanti quali il Sole24Ore.
Il messaggio ha ad oggetto le ipotesi di richiesta di NASpI a seguito di:
- rifiuto trasferimento lavoratore 50 km: rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico;
- accesso alla indennità di disoccupazione NASpi nelle ipotesi di risoluzione consensuale;
- accesso alla NASpi nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore.
L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale spiega i casi in cui le dimissioni o la risoluzione consensuale permettono di accedere comunque alla disoccupazione, in quanto vi è comunque la perdita involontaria del lavoro. Quindi anche se la cessazione del rapporto di lavoro non è conseguenza di un atto unilaterale del datore di lavoro, come nel licenziamento, è consentito comunque l’accesso al trattamento di disoccupazione.
Messaggio INPS numero 369-2018 pdf
Rilasciamo il messaggio INPS in formato pdf, così come riportato dal Sole24Ore.
Messaggio INPS numero 369-2018 (82,7 KiB, 25.353 hits)
Farsi licenziare per prendere la disoccupazione: occhio ai rischi
Nel tentativo di poter accedere alla disoccupazione, quindi per lasciare il lavoro senza dare le dimissioni e poi prendere la NASpI, qualche lavoratore potrebbe pensare di farsi licenziare con dei trucchetti, magari seguendo consigli di colleghi e amici poco informati.
Ad esempio il lavoratore potrebbe abbandonare il posto di lavoro e non ripresentarsi, nell’attesa che il datore di lavoro lo licenzi. Occhio però, perchè potrebbero esserci delle conseguenze per tale comportamento. Ad esempio a seconda del tipo di lavoro e contratto individuale e CCNL, il datore di lavoro potrebbe pretendere un risarcimento dal lavoratore, oltre che trattenergli l’indennità di preavviso.
Inoltre, come ha recentemente sentenziato la Cassazione, se il comportamento del lavoratore è evidentemente messo in atto per farsi licenziare, il datore di lavoro potrebbe richiedere e ottenere il risarcimento del Ticket licenziamento dovuto all’INPS, che in alcuni casi può arrivare a oltre 1500 euro.