Cosa può e deve fare il dipendente in caso di mancato pagamento dello stipendio? A fronte della prestazione lavorativa garantita dal dipendente l’obbligo in capo al datore di lavoro è quello di riconoscere il compenso al termine del periodo di paga e comunque nel rispetto delle scadenze eventualmente previste dal contratto collettivo o dagli usi aziendali.
Il ritardo o l’omesso pagamento della retribuzione rappresenta un grave inadempimento da parte del datore di lavoro, tale da motivare le dimissioni per giusta causa con effetto immediato, senza concedere il periodo di preavviso all’azienda.
Il lavoratore coinvolto in queste situazioni, ha numerosi mezzi per difendersi e far valere le proprie pretese retributive e non perdere i propri crediti di lavoro. I primi passi da compiere sono dei tentativi di risoluzione bonaria della problematica.
Soltanto se il problema persiste, nonostante i tentativi “pacifici” del lavoratore, questi potrà ricorrere in tribunale o all’Ispettorato del lavoro per accedere alla diffida accertativa per crediti patrimoniali. Senza dimenticare poi che nei casi di insolvenza dell’azienda può intervenire il Fondo di garanzia INPS, il quale procederà, previa domanda del lavoratore, a liquidare TFR ed altri crediti retributivi.
Mancato pagamento dello stipendio: cosa fare? La check-list per il lavoratore
Cosa fare se il datore di lavoro non paga? Vediamo nel dettaglio la check-list per il lavoratore in caso di mancato pagamento delle retribuzioni.
1. Richiesta di chiarimenti al datore di lavoro
A fronte del mancato (o ritardato) pagamento di una o più buste paga, il primo passo è quello di chiedere spiegazioni al datore di lavoro / responsabile del personale.
Se il confronto risulta infruttuoso, il lavoratore può inviare una richiesta scritta all’azienda inviata a mezzo raccomandata A/R o consegnata a mano e firmata dal destinatario per ricevuta e presa visione. In alternativa è possibile trasmettere il documento via mail / pec.
La missiva dovrà sostanzialmente chiedere spiegazioni sull’omessa corresponsione dello stipendio.
2. Rivolgersi al sindacato o ad un legale
Rivelatesi insoddisfacenti le domande orali e scritte, il lavoratore potrà rivolgersi:
- Ad un sindacalista esterno o interno all’azienda (in caso di RSA / RSU);
- Ad un legale.
Il soggetto scelto si occuperà di prendere contatto a livello informale con l’azienda, al fine di risolvere la questione.
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3. Passaggi successivi
Una volta tentate, senza successo, le vie bonarie, al dipendente non resta che far ricorso:
- All’Ispettorato del lavoro con l’obiettivo di ottenere una conciliazione monocratica;
- Al tribunale in funzione di giudice del lavoro affinché questi adotti un decreto ingiuntivo.
Se il datore di lavoro non paga la seconda opzione è senza dubbio quella che comporta per il lavoratore un maggior dispendio di energie e soldi, soprattutto in spese legali.
In qualsiasi momento, peraltro, il lavoratore può risolvere il rapporto rassegnando le dimissioni per giusta causa.
Conciliazione monocratica presso l’ispettorato del lavoro: la diffida accertativa
Il dipendente può segnalare, in autonomia o per il tramite del sindacato, all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente il mancato pagamento delle retribuzioni.
Di norma l’ITL, se ritiene ci siano i presupposti per una definizione bonaria della controversia, attiva la cosiddetta “conciliazione monocratica preventiva”, il cui obiettivo è evitare, a tutela delle parti coinvolte, l’ispezione diretta in azienda.
La procedura, riservata alle sole questioni riguardanti diritti patrimoniali dei lavoratori, prevede innanzitutto la convocazione dei soggetti interessati: dipendente e datore di lavoro.
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Questi possono presentarsi al funzionario incaricato:
- Di persona, eventualmente assistiti da un sindacalista / professionista;
- Delegando formalmente un altro soggetto.
Il compito dell’ispettorato / conciliatore è innanzitutto quello di evidenziare alle parti (in particolare all’azienda) le possibili conseguenze in caso di ispezione sul luogo di lavoro.
Al termine della conciliazione, in caso di:
- Accordo tra le parti, il procedimento ispettivo si estingue ed il datore di lavoro provvede a riconoscere i compensi non pagati;
- Mancato accordo, si procederà all’accertamento ispettivo.
Ispezione sul lavoro
Qualora, a seguito dell’ispezione, vengano accertati crediti retributivi derivanti da omesso pagamento delle buste paga, i funzionari competenti possono diffidare l’azienda a corrispondere le somme in questione direttamente al lavoratore.
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L’azienda può reagire promuovendo, entro 30 giorni dalla notifica della diffida, un tentativo di conciliazione in ITL, con le stesse modalità di svolgimento già viste per la conciliazione monocratica. L’effetto è quello di sospendere sino al termine della procedura l’esecutività della diffida.
In alternativa, il datore può inoltrare ricorso al direttore dell’ufficio che ha emanato il provvedimento. Anche in questo caso l’effetto è quello di sospendere l’efficacia della diffida. La decisione sul ricorso è adottata entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso.
Decorsi i termini per inoltrare ricorso o per esperire il tentativo di conciliazione, ovvero nel caso in cui le parti non pervengano ad un accordo o a fronte del rigetto del ricorso, la diffida acquista efficacia di titolo esecutivo, dando al dipendente la possibilità di agire per soddisfare i propri crediti.
Stipendi non pagati: decreto ingiuntivo (o ingiunzione di pagamento)
Se il datore di lavoro non paga la retribuzione, ma c’è comunque la busta paga, in alternativa all’Ispettorato del lavoro il dipendente può tentare la via del ricorso al Tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro, al fine di ottenere un decreto ingiuntivo.
In tal senso assumerà valore di prova scritta la busta paga rilasciata dal datore di lavoro.
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Il ricorso dovrà essere preceduto da:
- Una costituzione in mora del debitore a mezzo richiesta scritta redatta dal dipendente o dal suo legale, contenente un termine per corrispondere la retribuzione;
- In alternativa, una diffida ad adempiere, rivolta sempre per iscritto al datore di lavoro in cui lo si informa che, in caso di inadempimento, si procederà alla risoluzione del contratto, fatta salva la richiesta di risarcimento danni.
Una volta depositata l’istanza per decreto ingiuntivo presso la cancelleria del tribunale, il giudice ha 30 giorni di tempo per pronunciarsi.
L’accoglimento del ricorso comporta l’adozione del decreto vero e proprio, con l’invito al datore di lavoro di adempiere al pagamento entro 40 giorni dalla notifica.
Nel caso in cui questi:
- Non si opponga al decreto;
- Non adempia all’obbligazione;
entro il termine sopracitato, il lavoratore potrà chiedere l’apposizione della formula esecutiva e, spirati 10 giorni dalla notifica, avviare l’esecuzione forzata nei confronti dell’azienda, al fine di soddisfare il proprio credito.
Sempre nell’ambito del ricorso in tribunale, il dipendente può chiedere l’esecuzione provvisoria, caratterizzata dal termine “breve” concesso all’azienda, 10 giorni anziché 40 decorrenti sempre dalla notifica del titolo esecutivo adottato dal giudice, per soddisfare le pretese economiche dell’interessato.
Peraltro, in caso di accertato grave pregiudizio per il lavoratore derivante dal ritardo nel pagamento del compenso, il giudice può imporre il pagamento di una cauzione.
Dimissioni per giusta causa
Il mancato o ritardato pagamento della retribuzione è considerato dalla giurisprudenza di merito e di Cassazione, come un esempio di grave inadempimento del datore di lavoro, tale da:
- Non permettere la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto di lavoro;
- Giustificare le dimissioni del dipendente, senza obbligo di rispettare il periodo di preavviso imposto dal contratto collettivo applicato.
E’ importante precisare che, a fronte di stipendi non pagati, il dipendente che decide di procedere con le dimissioni per giusta causa è tenuto a rassegnarle nel più breve tempo possibile. Un eventuale ritardo correrebbe il rischio di essere interpretato, in sede di controversia giudiziale con il datore di lavoro, come un’accettazione tacita, da parte del dipendente, della condotta del datore di lavoro, tale da compromettere la validità stessa delle dimissioni per giusta causa.
Dal punto di vista della procedura da rispettare, nulla cambia rispetto ai casi di dimissioni ordinarie. A pena di inefficacia, la volontà di interrompere il rapporto dev’essere formalizzata esclusivamente con modalità telematica, utilizzando i moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e trasmessi, in autonomia o avvalendosi di intermediari abilitati, al datore di lavoro ed all’ITL competente.
Nel compilare le dimissioni online il dipendente dovrà indicare:
- La ragione sociale del datore di lavoro ed il codice fiscale;
- I propri dati identificativi;
- La data di inizio del rapporto di lavoro e la tipologia contrattuale;
- “Dimissioni per giusta causa” attraverso l’apposito menù a tendina;
- La pec del datore di lavoro;
- La data di decorrenza delle dimissioni, da intendersi come il giorno successivo l’ultimo di vigenza del contratto.
Ritardo pagamento stipendio
In caso di ritardo nel pagamento dello stipendio bisogna stare attenti con le dimissioni per giusta causa. Normalmente infatti il ritardo è considerato giusta causa di dimissioni solo se questo è reiterato nel tempo. Cioè non che se il datore di lavoro paga in ritardo un mese scatta subito il diritto a dimettersi…
NASpI, indennità di preavviso, TFR ecc.
A seguito delle dimissioni per giusta causa il dipendente avrà diritto a:
- Indennità sostitutiva del preavviso a carico dell’azienda;
- Trattamento di fine rapporto;
- Liquidazione di ferie e permessi non goduti e mensilità aggiuntive maturate (tredicesima ed eventuale quattordicesima);
- Indennità di disoccupazione NASPI in presenza degli altri requisiti richiesti dalla legge e previa domanda inviata all’INPS.
Intervento del Fondo di garanzia
Nei casi di impossibilità del datore di lavoro ad erogare la retribuzione, a causa di procedure concorsuali:
- Fallimento;
- Liquidazione coatta amministrativa;
- Amministrazione straordinaria;
- Liquidazione;
il pagamento del TFR e di altri crediti maturati negli ultimi 3 mesi del rapporto di lavoro, avviene da parte del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS.
L’intervento del Fondo, attivabile previa domanda del lavoratore, è garantito (per le aziende che non rientrano nel campo di applicazione delle procedure concorsuali) a seguito di ricorso in tribunale per la tutela dei crediti di lavoro e del tentativo (infruttuoso) di esecuzione forzata da parte del dipendente.