Il diritto del lavoro italiano prevede una speciale tutela contro il licenziamento della lavoratrice madre nel cosiddetto periodo protetto che va dall’inizio della gravidanza e fino al compimento di un anno del bambino. Eventuali licenziamenti intimati nell’arco temporale citato sono nulli, tranne le interruzioni in deroga alla regole generale che vedremo in seguito.
Le stesse conseguenze sono previste per i licenziamenti dovuti alla richiesta di congedo parentale, permessi per malattia del bambino ovvero congedo di paternità. Per tutelarsi, la lavoratrice può impugnare il licenziamento dinanzi al giudice. Se è accertata la nullità del recesso datoriale, l’azienda è tenuta a riammettere la dipendente al lavoro oltre a risarcirle il danno subito.
Analizziamo la disciplina nel dettaglio.
Licenziamento lavoratrice madre: tutele generali
Il D. lgs 151/2001 (T.U. Maternità) stabilisce che è nullo il licenziamento intimato a:
- Lavoratrice madre nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il compimento di un anno di età del bambino;
- Lavoratrice o lavoratore a causa della domanda o del godimento del congedo parentale o per malattia del bambino;
- Lavoratore padre sino al compimento di un anno di età del figlio nel caso in cui abbia usufruito del congedo di maternità in luogo della madre.
L’inizio della gravidanza coincide con il trecentesimo giorno antecedente la data presunta del parto riportata nel certificato medico di gravidanza.
È opportuno precisare che il divieto di licenziamento opera anche in caso di adozione / affidamento e fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, per quanto riguarda i casi di congedo di maternità e paternità.
Per far sì che il licenziamento sia nullo, la lavoratrice è tenuta a presentare all’azienda i certificati medici che dimostrino l’esistenza, all’epoca del recesso, dei motivi che lo vietavano.
Non rappresenta peraltro un esonero da responsabilità la circostanza per cui il datore al momento del licenziamento non fosse a conoscenza della gravidanza, non avendo ancora ricevuto alcun certificato medico.
Leggi anche: Maternità e lavoro: i diritti delle lavoratrici durante e dopo la gravidanza
Deroghe al divieto di licenziamento della lavoratrice madre
Tuttavia esistono dei casi in cui la lavoratrice madre può essere licenziata anche nel periodo protetto. Parliamo quindi di deroghe alla regola generale del divieto di licenziamento:
- licenziamento per giusta causa;
- cessazione totale dell’attività d’impresa;
- ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta;
- termine del contratto a tempo determinato;
- licenziamento in prova ovvero per mancato superamento del periodo di prova;
Licenziamento della lavoratrice nel periodo protetto: conseguenze
Le conseguenze nel caso in cui il giudice accerti la nullità del licenziamento sono:
- Reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro;
- Risarcimento dei danni subiti;
- Versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Reintegrazione
La reintegrazione consiste nel riammettere la dipendente nella stessa mansione che ricopriva prima del licenziamento. Se la lavoratrice decide di tornare al lavoro deve riprendere servizio entro 30 giorni dall’invito dell’azienda altrimenti il rapporto è da considerarsi cessato.
Al contrario, l’interessata può optare per l’indennità sostitutiva alla reintegra. In tal caso deve far richiesta entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia giudiziale o dall’invito dell’azienda di riprendere servizio (se anteriore alla comunicazione). L’indennità è pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR e non è soggetta a contributi.
Risarcimento del danno
L’azienda è tenuta a corrispondere una somma pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione.
Dall’indennità in questione dev’essere dedotto quanto percepito dal dipendente, nel periodo precedente la reintegra, per lo svolgimento di altre attività lavorative.
Il risarcimento non può comunque essere inferiore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
Versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
L’azienda è tenuta a versare i contributi previdenziali e assistenziali relativi al periodo compreso tra la data del licenziamento e la reintegra.
Cosa deve fare la lavoratrice madre licenziata ingiustamente
Per ottenere le tutele citate la lavoratrice deve impugnare il licenziamento.
L’impugnazione può essere proposta direttamente dalla lavoratrice, dal sindacato cui aderisce ovvero da un suo rappresentante munito di procura.
Il licenziamento dev’essere impugnato entro 60 giorni dalla sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto (anche stragiudiziale) idoneo a rendere nota al datore la volontà della lavoratrice.
Nell’atto di impugnazione non devono essere obbligatoriamente esposti tutti i motivi per cui si sostiene l’illegittimità del licenziamento. E’ sufficiente che risulti la volontà inequivocabile di impugnare il recesso.
A pena di inefficacia dalla data di spedizione dell’atto di impugnazione deve seguire il deposito del ricorso giudiziale o la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
Nel caso in cui la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o le parti non raggiungano alcun accordo, il ricorso al giudice dev’essere depositato (a pena di decadenza) entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
Tentativo di conciliazione
Ai lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti il datore può proporre una conciliazione in sede protetta al fine di evitare il giudizio, offrendogli, entro 60 giorni dalla comunicazione di licenziamento, un’indennità con assegno circolare di importo pari a mezza mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio in misura comunque non inferiore a 1,5 e non superiore a 6 mensilità.
Accettando l’assegno, si estingue il rapporto di lavoro e il dipendente rinuncia all’impugnazione del licenziamento. Le somme in questione sono esenti da contributi INPS e IRPEF. Eventuali ulteriori somme concordate in sede di conciliazione a chiusura di ogni altra pendenza legata al rapporto di lavoro saranno soggette al regime fiscale ordinario.
Per le aziende con più di 15 dipendenti l’importo dell’assegno è pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità.
La conciliazione può avvenire presso l’apposita commissione dell’Ispettorato territoriale del lavoro ovvero presso una sede sindacale, la commissione di conciliazione ed arbitrato prevista dal CCNL applicato, il collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale e infine la commissione di certificazione.