E’ ben noto a tutti che l’accoppiata pandemia-lockdown ha cambiato le abitudini delle persone nell’ultimo anno. Soprattutto, ha rivoluzionato parte del mondo del lavoro pubblico e privato, giacchè oggi lo smart-working è molto più praticato rispetto anche solo a qualche anno fa.
In questo periodo il telelavoro sembra essere davvero una soluzione efficace per non poche aziende e per buona parte dei lavoratori; che possono così ad ‘ottimizzare’ i tempi, riuscendo ad organizzare meglio le attività della giornata.
C’è però un quesito che forse già qualcuno si sarà posto e che ha a che fare con le norme del diritto del lavoro, vigenti in Italia. I lavoratori in smart working hanno diritto alla ferie esattamente come chi si reca sul luogo di lavoro, oppure no? E in caso di risposta positiva, quanti sono i giorni di ferie e permessi retribuiti in gioco? Cerchiamo di fare chiarezza e di rispondere di seguito alle domande appena esposte.
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Il diritto alle ferie è riconosciuto anche a coloro che lavorano da remoto
Se è vero che l‘utilizzo esteso dello smart-working, durante la fase di emergenza sanitaria, ha cambiato molto le abitudini delle persone occupate, sia nel pubblico impiego, sia presso le aziende private; è altrettanto vero che il diritto alle ferie, ai permessi e ai congedi è pacificamente spettante anche a chi lavora da casa via pc.
In altre parole, la fruizione delle ferie non è messa a rischio dalla modifica delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Anzi, chi lavora in smart-working da casa o da qualsiasi altro luogo che non sia quello di lavoro, matura – sempre e comunque – la quantità di ferie prevista nel CCNL di riferimento; oppure negli accordi di cui al contratto con il datore di lavoro.
Quindi, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare ad una valutazione superficiale, non sussiste alcuna differenza sostanziale in merito alla disciplina applicabile con riferimento alla maturazione del diritto alle ferie retribuite. Analogamente, non vi sono distinzioni da fare, a seconda che il lavoratore in telelavoro sia occupato nel settore pubblico o privato.
D’altronde la motivazione di quanto appena rimarcato è da rintracciarsi nel fatto che il diritto alle ferie pagate è garantito nel testo della Costituzione italiana (art. 36). Infatti, da un lato si è inteso tutelare la necessità di recupero psico-fisico del lavoratore; mentre dall’altro, è permesso a quest’ultimo di trascorrere un po’ di tempo in più con la famiglia. E questo ovviamente vale anche per chi lavora da remoto, in qualsiasi luogo si trovi.
Piuttosto, vi è da dire che alla luce di ciò, i giorni retribuiti di astensione dal lavoro, comunque previsti anche in caso di smart-working, debbono essere oggetto di specifico accordo con il datore di lavoro.
La legge applicabile ai lavoratori in telelavoro
Insomma, non bisogna credere che lo smart-working faccia maturare il diritto alle ferie, ma con un numero inferiore di giornate di festa, rispetto a chi si reca sul luogo di lavoro e rispetto alle ordinarie pattuizioni contrattuali.
D’altronde, è la legge vigente che viene incontro a coloro che lavorano in smart-working, tutelandoli al pari di qualsiasi altro lavoratore. Pertanto, lo smart-worker ha certamente diritto allo stesso trattamento contrattuale e economico di chi lavora in presenza. Permessi, diritto alle ferie retribuite; maternità, malattie, tutela contro gli infortuni seguono le regole di cui ai vari CCNL, senza alcuna limitazione per chi lavora da casa. E’ il fondamento di ciò è da rintracciarsi nella legge n. 81 del 2017, la quale dispone la normativa di riferimento sullo smart-working.
Inoltre è pacificamente riconosciuto che i lassi di tempo di assenza obbligatoria – a causa ad es. di una gravidanza – contano comunque per quanto attiene al calcolo delle ferie retribuite; invece, non contano le giornate di malattia; infortunio sul lavoro; congedo parentale che eccedono il periodo di comporto.
Pertanto, venendo agli aspetti pratici, il diritto alle ferie del lavoratore in smart-working non sarà intaccato in alcun modo, e permarrà senza restrizioni. In altre parole, la busta paga resterà inalterata rispetto al periodo in cui svolgeva le mansioni in ufficio.
Tuttavia, come acutamente rilevato dai giudici chiamati a esprimersi su alcune controversie in tema di lavoro, i buoni pasto non sono da riconoscersi automaticamente ai lavoratori in smart-working. Il datore di lavoro o azienda ha però facoltà di concederli anche a coloro che lavorano da remoto.
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Le ferie obbligate per evitare lo smart-working sono vietate dalla legge
Dobbiamo ancora chiarire una questione pratica, una volta per tutte. Infatti se è vero che da una parte le autorità sanitarie hanno finora spinto all’utilizzo dello smart working, ove possibile, è altrettanto vero che i datori di lavoro non possono ricorrere alle ferie obbligate, per impedire che i dipendenti lavorino da remoto.
Ad una attenta lettura delle norme vigenti in materia, si può infatti notare che la legge attuale vieta ai datori di lavoro di sfruttare le ferie pregresse; la banca ore e la rotazione del personale, se non per oggettive esigenze di natura organizzativa e, comunque, soltanto laddove non sia attivabile lo smart-working. In buona sostanza, obbligare i lavoratori ad avvalersi del diritto alle ferie, per non farli lavorare da remoto, consiste in un abuso contrario alle norme di legge.
Concludendo, appare utile rimarcare che il decreto Sostegni ha dato impulso ulteriore all’utilizzo dello smart-working nel settore privato, giacchè sarà possibile sfruttarlo senza accordo fino al 30 settembre di quest’anno.