Tra i fenomeni che possono verificarsi sul luogo di lavoro il mobbing rappresenta di gran lunga una delle esperienze peggiori per i dipendenti che ne sono vittime. Con il termine mobbing si indicano tutti quei comportamenti, individuali o collettivi, vessatori, reiterati e duraturi, nei confronti del lavoratore ad opera del datore di lavoro o superiori gerarchici (mobbing verticale), di colleghi (mobbing orizzontale) se non addirittura di sottoposti (mobbing ascendente).
Per poter qualificare una determinata condotta come mobbing, la giurisprudenza consolidata di Cassazione ha individuato le seguenti caratteristiche:
- Comportamento che si protrae nel tempo, grazie ad una pluralità di atti materiali se non addirittura giuridici;
- Volontà di colpire il lavoratore se non addirittura di portare alla sua estromissione (licenziamento) o uscita (dimissioni) dall’azienda ovvero, semplicemente, di mortificare e vessare il lavoratore;
- Lesione arrecata al lavoratore, sul piano professionale, fisico, psicologico, sessuale o morale;
- Nesso causale tra la condotta del datore di lavoro (o del superiore gerarchico) e pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore.
Fatta questa utile premessa, necessaria a circoscrivere cosa si intende per mobbing, vediamo in dettaglio in quali comportamenti si concretizza e come può difendersi il lavoratore.
Come riconoscere il mobbing?
Riconoscere il mobbing è il primo passo per contrastarlo, è utile quindi capire attraverso quali comportamenti si manifesta. A tal proposito sono fondamentali i pareri della giurisprudenza di merito e di Cassazione, i quali hanno individuato una serie di campanelli d’allarme, indicativi del fatto di essere potenzialmente vittime di mobbing:
- Adozione di provvedimenti disciplinari per ragioni strumentali e in modo pretestuoso, così da amplificare l’importanza attribuita a fatti di modesta rilevanza e costruire una base per disporre poi il licenziamento disciplinare;
- Ambiente di lavoro ostile;
- Umiliazioni e pressioni psicologiche tali da portare a sofferenze morali, danni alla vita di relazione ed esaurimento nervoso;
- Demansionamento e privazione di compiti;
- Atti sistematici, formalmente legittimi, appartenenti comunque ad una più ampia strategia di persecuzione, denigrazione e isolamento professionale (negazione di ferie e permessi, privazione di colleghi e collaboratori);
- Situazione di tensione costante, a causa di sanzioni disciplinari illegittime e riduzione delle funzioni;
- Situazione di emarginazione personale e professionale, inattività forzata attraverso lo svuotamento delle mansioni, discriminazione professionale manifestatamente ingiustificata per promozioni e / o aumenti retributivi.
Vediamo quindi quando possiamo parlare di mobbing.
Quando non possiamo parlare di mobbing?
Per capire meglio quando possiamo parlare di mobbing vediamo quando questo è da escludere.
La giurisprudenza di Cassazione ha ritenuto non ravvisabile il mobbing quando il dipendente si trova con un’ingente mole di lavoro accumulata, se questa è il risultato delle sue inadempienze.
In tal caso, le sanzioni disciplinari eventualmente conseguenti e la richiesta di prestazioni straordinarie sono legittime se dovute alla condotta poco collaborativa dell’interessato, a meno che quest’ultimo non dimostri il carattere incolpevole dell’accumulo del lavoro (Cassazione sentenza del 3 febbraio 2016 numero 2116).
Non è altresì configurabile il mobbing se il dipendente si ritrova momentaneamente con una mole di lavoro ridotta, a causa dell’adeguamento informatico della postazione di lavoro e della definizione dei compiti che l’interessato dovrà svolgere (Cassazione sentenza del 26 febbraio 2021 numero 5472).
Cosa fare se si subisce il mobbing?
Ma cosa fare in concreto quando si è vittima di mobbing?
1. Muoversi per tempo
Per prima cosa bisogna muoversi per tempo e non procrastinare troppo la situazione in attesa (vana) che qualcosa cambi. Quindi bisogna raccogliere più prove possibili su quanto sta accadendo, trovare testimoni disposti ad aiutarci, registrare le conversazioni e tutto quant’altro sia utili ai fini di una eventuale denuncia. A questo punto bisogna decidere di rivolgersi ad un legale oppure al sindacato, vediamo come fare.
2. Rivolgersi ad un legale / sindacalista
Il lavoratore che ritiene essere vittima di mobbing, vista la gravità della situazione, è bene che si rivolga innanzitutto ad un legale, al fine di concordare con quest’ultimo le mosse successive.
A tal proposito può essere valutata l’opportunità di chiedere, attraverso una comunicazione formale all’azienda, di:
- Attivarsi per interrompere con effetto immediato i comportamenti “mobbizzanti”;
- Mettere in atto tutta una serie di provvedimenti per evitare il ripetersi delle condotte incriminate in futuro.
La presa di contatto con l’azienda può eventualmente avvenire, anche in via informale, grazie all’aiuto di un sindacalista.
In alternativa o in aggiunta alla presa di contatto / missiva all’azienda (ovvero nel caso in cui questa non sortisca gli effetti desiderati) il dipendente può promuovere un’azione di risarcimento del danno, se non addirittura rassegnare le dimissioni per giusta causa.
3. Chiedere che venga rimossa la fonte del mobbing
A questo punto prima di andare oltre con cause di lavoro e risarcimenti danni, si può provare a chiedere all’azienda di rimuovere la causa del mobbing. Se è il datore di lavoro a fare mobbing, gli si può chiedere di cambiare atteggiamenti, oppure di cambiare sede di lavoro se a fare mobbing sono i colleghi.
4. Chiedere un risarcimento del danno
Il lavoratore vittima di mobbing ha diritto al risarcimento del danno da parte dell’azienda, a meno che quest’ultima non provi di avere adempiuto all’obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore.
Al contrario, il dipendente stesso è tenuto a provare:
- La lesione dell’integrità psico-fisica;
- Il nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’espletamento della prestazione lavorativa.
Da notare che l’azione per chiedere il risarcimento del danno si prescrive in dieci anni, decorrenti dalla manifestazione del danno e non dall’inizio dei comportamenti “mobbizzanti”.
Il lavoratore che si attiva nei confronti dell’azienda per ottenere il risarcimento del danno, oltre a chiedere l’assistenza di un legale, è chiamato a raccogliere le prove e i documenti idonei a dimostrare il mobbing.
5. Ultima via, dare le dimissioni per giusta causa
Se proprio non si riesce a trovare una soluzione al mobbing subito, il lavoratore deve tenere a mente che in ulima istanza sarebbe possibile dare le dimissioni per giusta causa anche in tronco quindi e non perdere il diritto al preavviso e alla indennità di disoccupazione Naspi.
A parere della giurisprudenza di merito (sentenza del Tribunale di Pinerolo del 2 aprile 2004) e dell’Inps (Circolare del 20 ottobre 2003 numero 163) il mobbing rientra tra le condotte per cui si ritiene presente la giusta causa di dimissioni.
A tal proposito l’Inps ha chiarito che concretizza un’ipotesi di dimissioni per giusta causa il “crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi” (Circolare numero 163/2003).
Tuttavia bisogna ricordare che la naspi in questo caso potrebbe essere revocata anche dopo anni, se alla fine di una eventuale causa di lavoro non venga riconosciuta la condotta di mobbing alla base delle dimissioni per giusta causa.
Cosa sono le dimissioni per giusta causa?
Si qualificano come dimissioni per giusta causa tutte le ipotesi di risoluzione unilaterale del rapporto da parte del dipendente, conseguente a condotte del datore di lavoro talmente gravi da non consentire la prosecuzione temporanea del rapporto nel corso del periodo di preavviso.
Il dipendente che intende rassegnare le dimissioni per giusta causa è tenuto, a pena di inefficacia delle stesse, a compilare l’apposito modulo telematico sul portale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, disponibile su “servizi.lavoro.gov.it”.
In sede di compilazione del modulo l’interessato deve selezionare l’opzione delle dimissioni per giusta causa, nell’apposita sezione dedicata a “Tipo Comunicazione”.
Una volta conclusa la procedura, le dimissioni vengono trasmesse all’Ispettorato territoriale del lavoro competente e, via PEC, all’azienda.
Nessun preavviso
In ragione della gravità della condotta aziendale, le dimissioni per giusta esonerano il dipendente dall’obbligo di rispettare il periodo di preavviso, altrimenti applicabile, nella misura definita dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità.
Di conseguenza, in caso di mobbing, le dimissioni per giusta causa del lavoratore gli permettono di interrompere il rapporto senza:
- Attendere il decorso del periodo di preavviso;
- Subire alcuna trattenuta in busta paga da parte dell’azienda a titolo di mancato preavviso.
Quali effetti hanno le dimissioni per giusta causa?
Il lavoratore che rassegna le dimissioni per giusta causa ha diritto innanzitutto all’indennità sostitutiva del preavviso a carico azienda, da calcolarsi in misura pari alla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore nel corso del preavviso stesso.
Le dimissioni per giusta causa vengono altresì considerate come un’ipotesi di perdita involontaria del posto di lavoro e, come tali, sono idonee a consentire, in presenza degli altri requisiti prescritti dalla legge, l’accesso all’indennità di disoccupazione NASpI.
Quest’ultima, concretizzandosi in un aiuto economico erogato dall’Inps (previa domanda) a coloro che si ritrovano senza lavoro, spetta se l’interessato è in possesso, congiuntamente, dei seguenti requisiti:
- Stato di disoccupazione;
- Almeno tredici settimane di contributi totalizzati nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.
Conclusioni
Essere vittima di mobbing sul lavoro è un’esperienza dolorosa e debilitante che può avere impatti significativi sulla salute mentale, emotiva e fisica. Tuttavia, è importante ricordare che non si è soli e che esistono risorse e strategie per affrontare questa situazione. In questa guida abbiamo visto alcuni punti chiave da tenere a mente mentre si cerca di gestire e superare il mobbing.
Bisogna sempre ricordare che la salute e il benessere sono la priorità assoluta. Nessuno dovrebbe dover sopportare un ambiente di lavoro ostile e oppressivo. Prendendo le giuste misure e cercando il supporto adeguato, è possibile superare questa difficile esperienza e trovare un ambiente di lavoro più sano e positivo.