Nel quotidiano della vita lavorativa può accadere che i rapporti tra datore di lavoro e dipendente non siano dei migliori. In concreto il lavoratore può essere vittima di comportamenti sgradevoli da parte del datore di lavoro, ma anche di un superiore o di un responsabile, tali da rendere particolarmente difficili i momenti passati in azienda.
Cosa fare quindi se il datore di lavoro ti tratta male? Per risolvere la situazione il lavoratore ha una serie di alternative. Analizziamole in dettaglio.
Quali sono i poteri e limiti del datore di lavoro?
Il potere direttivo del datore di lavoro si riferisce all’insieme delle facoltà e delle prerogative che l’imprenditore ha nel gestire e organizzare l’attività lavorativa all’interno dell’azienda. Questo potere è essenziale per garantire il buon funzionamento dell’impresa e si manifesta in diverse forme.
Allo stesso tempo il datore di lavoro ha il cosiddetto potere disciplinare, ovvero il diritto di sanzionare i comportamenti dei dipendenti che violano le regole aziendali o i doveri contrattuali e le sanzioni disciplinari possono variare in base alla gravità dell’infrazione.
Tuttavia nessuna legge prevede il diritto del datore di lavoro, o di chi ne fa le veci (responsabili, capi area, superiori ecc.) di trattare male, sia verbalmente che fisicamente, un lavoratore. Il richiamo verbale ad esempio deve essere sempre circostanziato e comunque non può ledere la dignità di chi lo riceve.
Detto questo vediamo quindi cosa può fare il lavoratore dipendente se il datore di lavoro lo tratta male, lo offende o comunque in qualsiasi modo lede la sua dignità?
1. Rivolgersi a un sindacalista
Una prima soluzione per il dipendente vittima di offese da parte del datore di lavoro è quella di rivolgersi ad un sindacalista.
Quest’ultimo può infatti prendere contatto con il datore di lavoro, cercando di addivenire ad una soluzione in grado di migliorare la vita in azienda.
2. Fare una denuncia all’ispettorato del lavoro
Se la via del sindacato non è percorribile, ad esempio perchè il sindacato non è presente in azienda, oppure non si ha la possibilità di contattarli, il dipendente può valutare di fare una denuncia all’ispettorato del lavoro.
Quest’ultimo può infatti fare una ispezione aziendale e sentire le parti in causa per comprendere cosa sta succedendo realmente nei luoghi di lavoro.
3. Rivolgersi ad un avvocato
Nel caso in cui i contatti tra il datore di lavoro e il sindacalista non abbiano sortito gli effetti desiderati o comunque nelle ipotesi di particolare gravità, in termini di offese e comportamenti da parte del datore di lavoro stesso, il dipendente può rivolgersi ad un avvocato.
Quest’ultimo ha la possibilità di confrontarsi con il datore di lavoro per risolvere la problematica, minacciando, se del caso, di ricorrere in giudizio se ci sono i presupposti per una richiesta di risarcimento dei danni psico – fisici addotti dal dipendente.
4. Chiedere il trasferimento ad altra sede aziendale
Il lavoratore che vuole evitare contatti con il datore di lavoro può chiedere il trasferimento ad altra sede aziendale.
Il trasferimento si configura infatti come uno spostamento del luogo di lavoro definitivo e senza limiti di durata.
Posto che il trasferimento dev’essere comunque accettato dal datore di lavoro, non esistono particolari vincoli o condizioni di legittimità se a chiedere il cambio di sede è il dipendente.
5. Dare le dimissioni per giusta causa
Il dipendente che ritiene la situazione in azienda non sopportabile e senza via d’uscita non può far altro che valutare la possibilità di dimettersi per giusta causa.
Tuttavia, è importante considerare che:
- Le ipotesi in cui ricorre la giusta causa di dimissioni sono state nel tempo tassativamente previste dalla giurisprudenza, come vedremo tra poco;
- Le dimissioni per giusta causa devono essere rassegnate a stretto giro rispetto ai comportamenti del datore di lavoro (non è ammessa un’inerzia prolungata del lavoratore).
Le dimissioni per giusta causa, è bene ricordarlo, oltre a non essere soggette al rispetto del periodo di preavviso, possono, in presenza degli altri requisiti richiesti dalla normativa, conferire al dipendente il diritto alla fruizione dell’indennità di disoccupazione NASpI.
Quando ricorre la giusta causa?
I casi in cui ricorre la giusta causa di dimissioni sono stati previsti direttamente, nel corso degli anni, dalla giurisprudenza di merito e di Cassazione.
Per quanto di nostro interesse la giusta causa è stata riscontrata per:
- Comportamento ingiurioso del superiore gerarchico;
- Molestie sessuali perpetrate dal datore di lavoro;
- Significativo svuotamento del numero e del contenuto delle mansioni, tale da determinare un pregiudizio al bagaglio professionale del lavoratore;
- Mobbing.
Ulteriori ipotesi di giusta causa di dimissioni possono essere previste dalla contrattazione collettiva ovvero essere di volta in volta sostenute dal dipendente. Da notare che, in quest’ultimo caso, è concreto il rischio di una controversia con l’azienda sull’effettiva ricorrenza di una giusta causa di dimissioni, da qualificarsi come un comportamento del datore di lavoro, talmente grave da non permettere la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto.
Come presentare le dimissioni per giusta causa
Ricorrendo gli estremi delle dimissioni per giusta causa, il lavoratore può risolvere in maniera unilaterale il contratto formalizzando la sua volontà attraverso l’invio di un apposito modulo telematico, reso disponibile dal Ministero del lavoro e trasmesso al datore di lavoro (via PEC) e all’ITL competente.
Come si trasmettono le dimissioni?
Il dipendente può inviare il modulo direttamente o, in alternativa, avvalendosi di intermediari come patronati, organizzazioni sindacali, consulenti del lavoro, ITL, enti bilaterali e commissioni di certificazione.
Per procedere in maniera autonoma il lavoratore deve collegarsi al portale “servizi.lavoro.gov.it” in possesso delle credenziali SPID e CIE.
Una volta effettuato l’accesso al portale, in sede di compilazione del modulo è necessario indicare:
- I dati del lavoratore, come cognome, nome, codice fiscale, e-mail;
- I dati del datore di lavoro, quali codice fiscale, ragione sociale, e-mail, PEC, indirizzo della sede legale e di lavoro;
- I dati del rapporto di lavoro oggetto di dimissioni, come data di assunzione e tipologia contrattuale;
- Data di decorrenza delle dimissioni, da intendersi come il primo giorno di non vigenza del contratto;
- Nel campo “Tipo comunicazione” l’opzione “Giusta causa”.
Terminata la compilazione, il modulo è trasmesso immediatamente all’ITL competente e al datore di lavoro.
Quest’ultimo, a sua volta, è obbligato ad inviare il modello “UnificatoLav” o “UniLav” di cessazione, indicando come ultimo giorno di vigenza del contratto quello precedente la data di decorrenza dimissioni riportata nel modello ricevuto via PEC.
Necessarie le dimissioni telematiche
Le dimissioni per giusta causa devono essere obbligatoriamente presentate dal dipendente utilizzando la piattaforma telematica del Ministero del lavoro.
Eventuali dimissioni presentate con modalità alternative sono inefficaci.
Quando si ha diritto alla NASpI?
Le dimissioni per giusta causa rappresentano un evento di perdita involontaria del posto di lavoro e, come tali, possono aprire le porte dell’indennità di disoccupazione NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) sempre che si rispettino i requisiti e che si faccia correttamente la domanda di disoccupazione all’INPS.
Requisiti
Per accedere all’indennità NASpI sono necessari i seguenti requisiti:
- Stato di disoccupazione;
- Almeno tredici settimane di contribuzione totalizzate nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.
Lo stato di disoccupazione:
- Deve permanere per tutto il periodo di fruizione dell’indennità NASpI e presuppone l’assenza di un impiego (subordinato o autonomo), la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e la stipulazione di un patto di servizio;
- Dev’essere involontario.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto le dimissioni per giusta causa, come anticipato, sono qualificate come ipotesi di disoccupazione involontaria al pari, ad esempio, del licenziamento per giusta causa e delle dimissioni rassegnate durante il periodo tutelato di maternità.
Domanda di disoccupazione all’Inps
Per accedere alla NASpI il lavoratore che si dimette per giusta causa è tenuto a trasmettere apposita domanda all’Inps, entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla cessazione del rapporto.
A decorrere dallo scorso 1° marzo, le istanze devono essere presentate all’Istituto collegandosi alla nuova piattaforma “ID 3.0”, in possesso delle credenziali SPID (almeno di livello 2), CNS (Carta Nazionale dei Servizi) o CIE 3.0 (Carta di Identità Elettronica).
Per collegarsi alla piattaforma è sufficiente, all’interno del portale “inps.it”, seguire il percorso “Sostegni, Sussidi e Indennità – Per disoccupati – NASpI: indennità mensile di disoccupazione – Utilizza il servizio – NASpI / Domanda – Utilizza il servizio”.
Conclusioni
Se il datore di lavoro tratta male e offende, ma anche se questo comportamento avviene da parte di un superiore, di un responsabile o di qualsiasi altra figura di “rango” superiore, il dipendente non è tenuto a sopportare questi comportamenti. Anzi è bene che se ne discuta subito per provare a limare e diminuire queste incomprensioni.
Se anche il dialogo va male, il lavoratore deve provare a fare di tutto per non farla diventare una malattia, fino alla denuncia presso gli organi competenti o finanche rinunciando al posto di lavoro e dando le dimissioni per giusta causa, che ricordiamo, sussistendo gli altri requisiti, danno comunque diritto ad accedere alla indennità di disoccupazione NASpI.