Ai lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015 si applica la normativa del Jobs Act sul contratto a tutele crescenti. Lo stesso vale per i contratti a termine trasformati a tempo indeterminato dopo tale data. Dopo 4 anni dall’entrata in vigore, sono ancora molti i dubbi su questo argomento e molti lavoratori non hanno ancora ben chiaro come funziona e a chi si applica la normativa. Pertanto in questa guida cercheremo di dare risposte a chi ha ancora dubbi su questo argomento, perchè magari ha trovato nel suo contratto di lavoro il termine “tutele crescenti” e non sa cosa vuol dire.
Per prima cosa bisogna sapere che la riforma non ha cambiato il contratto a tempo indeterminato, ma la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. In caso di licenziamento illegittimo infatti si avrà una protezione diversa rispetto ai lavoratori assunti in precedenza, a cui si applica il famoso Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Prima e dopo il Jobs Act
Con la riforma del Jobs Act nel 2015 sono state create due diverse categorie di lavoratori dipendenti:
- i lavoratori protetti dai licenziamenti illegittimi Articolo 18;
- quelli protetti dai licenziamenti illegittimi dal Jobs Act (Dlgs. n. 23/2015).
Per questi ultimi si parla di “Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti“, dal momento che il risarcimento riconosciuto al dipendente illegittimamente licenziato cresce con l’aumentare dell’anzianità di servizio in azienda. Vediamo nel dettaglio a chi si applica e come funziona.
Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: a chi si applica
Le nuove tutele previste dal Jobs Act si applicano agli assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 o coloro il cui rapporto sia stato trasformato da contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato sempre dal 7 marzo 2015 ovvero dalla medesima data stabilizzato dopo un periodo di apprendistato. In gergo si parla di “nuovi assunti” per differenziarli dai “vecchi assunti” soggetti alla tutela dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Inoltre, per le aziende che al 7 marzo 2015 occupavano fino a 15 dipendenti e che in virtù delle assunzioni effettuate dopo la stessa data hanno superato la predetta soglia dei 15 dipendenti, le tutele crescenti si estendono anche ai “vecchi assunti”.
Contratto a tutele crescenti: come funziona
Come anticipato, il contratto a tutele crescenti prevede una protezione in caso di licenziamento illegittimo proporzionale agli anni di anzianità in azienda.
Nei casi di licenziamento nullo, discriminatorio o intimato in forma orale il dipendente ha diritto:
- Alla reintegrazione nel posto di lavoro o, qualora non intenda riprendere servizio, spetta un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR;
- Al risarcimento del danno subito attraverso l’erogazione di un’indennità. Questa va commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (con un importo minimo pari a 5 mensilità);
- Al versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.
Negli altri casi di licenziamento illegittimo, le tutele si differenziano a seconda della dimensione aziendale. In questi casi si parla infatti di indennità risarcitoria. Questa parte del Jobs Act è stata dichiarata illegittima da una recente sentenza della Corte Costituzionale.
Leggi anche: Indennità risarcitoria licenziamenti: il Jobs Act è incostituzionale
Contratto a tutele crescenti aziende con più di 15 dipendenti
Negli altri casi di licenziamento illegittimo, le tutele previste sono:
- Quando non ricorrono gli estremi per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, giustificato motivo soggettivo o giusta causa il giudice dichiara estinto il rapporto e condanna l’azienda al pagamento di un’indennità di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità;
- Se il giudice dimostra l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, condanna l’azienda alla reintegrazione del licenziato (o all’erogazione dell’indennità sostitutiva) e al pagamento di un’indennità risarcitoria (oltre al versamento dei contributi previdenziali) commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro (in ogni caso l’indennità non può essere superiore a 12 mensilità).
Nei casi di licenziamento senza indicazione dei motivi ovvero senza osservare la procedura di contestazione disciplinare, l’azienda è condannata al pagamento di un’indennità pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità.
Contratto a tutele crescenti aziende fino a 15 dipendenti
In caso di licenziamento in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio in misura non inferiore a 3 e non superiore a 6 mensilità.
Nelle ipotesi di licenziamento senza indicazione dei motivi ovvero senza osservare la procedura di contestazione disciplinare, l’azienda è condannata al pagamento di un’indennità aggiuntiva. Questa è pari a mezza mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio; in misura comunque non inferiore a 1 e non superiore a 6 mensilità.
Contratto a tutele crescenti: offerta di conciliazione
Ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato tutele crescenti il datore può proporre una conciliazione in sede protetta al fine di evitare il giudizio; può quindi offrirgli, entro 60 giorni dalla comunicazione di licenziamento, un’indennità con assegno circolare di importo pari a:
- mezza mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio. In misura comunque non inferiore a 1,5 e non superiore a 6 mensilità.
Accettando l’assegno, si estingue il rapporto di lavoro e il dipendente rinuncia all’impugnazione del licenziamento. Le somme in questione sono esenti da contributi INPS e IRPEF. Eventuali ulteriori somme concordate in sede di conciliazione a chiusura di ogni altra pendenza legata al rapporto di lavoro saranno soggette al regime fiscale ordinario.
Per le aziende con più di 15 dipendenti l’importo dell’assegno è pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio; in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità.
Le sedi in cui è possibile la conciliazione sono:
- Commissione di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro;
- Sede sindacale;
- Commissione di conciliazione ed arbitrato prevista dal CCNL;
- Collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale;
- Commissione di certificazione.
Contratto a tutele crescenti: deroga
Sono ammessi accordi in deroga alla legge che prevedano l’applicazione della Riforma Fornero anche ai “nuovi assunti”. Per farlo, è sufficiente un accordo individuale azienda – dipendente (possibile anche l’inserimento diretto nella lettera di assunzione) o un accordo sindacale.