Nelle ultime settimane si è acceso il dibattito attorno alla obbligatorietà del vaccino anti Covid sui posti di lavoro. Due personalità nel campo del diritto del lavoro, il prof. Ichino e il giudice Guariniello, si sono espressi molto chiaramente: “chi rifiuta di vaccinarsi contro il Covid può essere licenziato”.
In sostanza, affermano i due giuristi, l’obbligo di vaccinazione quale condizione per il mantenimento del posto di lavoro, sarebbe già previsto nel nostro ordinamento, non essendo per tal modo necessario che il legislatore intervenga con una norma ad hoc.
La nostra Costituzione, infatti, prevede una riserva di legge in materia di vaccinazione, posto che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Obbligo vaccino covid-19 a lavoro
Si tratta, quindi, di capire se nel nostro ordinamento già esista una legge che obblighi i lavoratori dipendenti a sottoporsi al trattamento sanitario in questione.
Il pensiero del Prof. Ichino
In particolare, secondo il prof. Ichino, la disposizione che consentirebbe ai datori di lavoro di imporre il vaccino ai propri dipendenti – pena il licenziamento – sarebbe rinvenibile nell’art. 2087 del Codice Civile, norma che obbliga il datore di lavoro “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
In sostanza, secondo il prof. Ichino, l’imprenditore, di fronte al rifiuto del dipendente di sottoporsi a vaccino, dovrebbe fare di tutto affinché tale dipendente non rappresenti un rischio per le persone che lavorano in azienda, disponendo l’estromissione del dipendente dal posto di lavoro.
Il pensiero del Prof. Guariniello
Secondo il prof. Guariniello, invece, la fonte dell’obbligo risiederebbe nel Testo unico della Sicurezza sul Lavoro, una legge che «impone al datore di lavoro di mettere a disposizione vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico, da somministrare a cura del medico competente».
La stessa legge, secondo il giurista, “impone al datore di lavoro l’allontanamento temporaneo del lavoratore in caso di inidoneità alla mansione su indicazione del medico competente”.
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Entrambe le tesi, sebbene suggestive, personalmente non mi convincono.
In primo luogo, il richiamo all’art. 2087 del Codice Civile, quale fonte normativa dell’obbligo vaccinale, mi pare azzardato. In assenza di un vero e proprio obbligo di legge, come potrebbe, il datore di lavoro, imporre ai propri dipendenti – anche se occupati in mansioni che non comportano il contatto con i colleghi di lavoro – l’esibizione di una certificazione vaccinale?
Come potrebbe dimostrare che la permanenza in azienda del dipendente non vaccinato arrechi un pregiudizio, anche solo potenziale, nei confronti dei colleghi (che magari – questi sì – si sono sottoposti al vaccino)?
Come potrebbe licenziare un dipendente se questi esercita una opzione legittima (non vaccinarsi) in mancanza di una legge che, tale vaccinazione, imponga?
Al pari, il richiamo al Testo unico della Sicurezza sul Lavoro potrebbe valere soltanto per alcune specifiche categorie di lavoratori ma non certamente per tutti.
L’art. 279 del Testo Unico contempla l’obbligo di vaccinazione soltanto con riferimento a quei lavoratori esposti ad agenti biologici, come ad esempio nel settore dell’assistenza sanitaria.
Per il personale medico, ad esempio, l’art. 286 sexies prescrive l’obbligo di informare i lavoratori sull’importanza dell’immunizzazione e sui vantaggi e sugli inconvenienti della vaccinazione o della mancata vaccinazione specificando che “tali vaccini devono essere dispensati gratuitamente a tutti i lavoratori ed agli studenti che prestano assistenza sanitaria ed attività ad essa correlate nel luogo di lavoro”.
Al di fuori delle suddette categorie di lavoratori e condizioni di rischio specifiche, manca nel Testo Unico una disposizione che generalizzi l’obbligo di vaccinazione, né tale previsione può essere raggiunta attraverso un’interpretazione estensiva della norma.
La linea della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro
Su questa linea di pensiero, anche la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, la quale, in un recentissimo approfondimento, ribadisce la insussistenza di un obbligo generalizzato per i lavoratori dipendenti di sottoporsi al vaccino: “Allo stato attuale, pertanto, non si rinvengono precetti normativi per effetto dei quali si possa immediatamente ritenere la possibilità per il datore di lavoro di richiedere la vaccinazione quale misura obbligatoria di prevenzione e quindi condizione di accesso sui luoghi di lavoro”.
Resta il fatto che il nostro legislatore potrebbe sempre intervenire con una norma specifica per sancire l’obbligatorietà della vaccinazione quale condizione per poter svolgere l’attività lavorativa, quantomeno per determinate attività lavorative (che necessitino del contatto con il pubblico o con colleghi di lavoro) o presso quelle aziende ove, il tipo di lavorazione o di organizzazione, non consenta l’adozione di altre misure anti-contagio altrettanto efficaci.
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Conclusioni
Senza una norma che renda obbligatorio il vaccino per tutti i lavoratori, è estremamente rischioso procedere a licenziamenti di massa che ben potrebbero essere impugnati davanti al Giudice del Lavoro, con inevitabile pregiudizio per le stesse aziende che, di fronte all’incertezza del quadro normativo e all’esito dei giudizi, potrebbero essere disincentivate ad investire e a far ripartire le loro attività economiche.
Allora, bisogna chiedersi perché il nostro legislatore, di fronte ad un quadro di simile incertezza, non voglia intervenire con legge?
La risposta, purtroppo, pare obbligata: di fronte ad una numerosa fetta di popolazione che si è dichiarata già a priori contraria a sottoporsi al vaccino, imporne l’obbligo sarebbe estremamente impopolare, e senza un largo consenso, ogni misura di senso contrario tornerebbe indietro come un boomerang sotto forma di perdita di consenso.