Per frenare ove possibile le conseguenze nefaste nei confronti del tessuto socio-economico del Paese, prodotte da coronavirus e conseguente lock down, l’ultima legge di Bilancio – tra le varie misure predisposte – ha previsto anche la proroga del blocco licenziamenti fino al 31 marzo 2021.
Non ci si riferisce però a tutti i possibili licenziamenti, ma soltanto a quelli individuali per giustificato motivo oggettivo e le procedure collettive legate alla crisi economica (rimangono possibili i licenziamenti a seguito di accordo collettivo aziendale). Si tratta di una scelta che si colloca nello stesso solco tracciato dal decreto Ristori, il quale aveva previsto il blocco fino a fine gennaio.
Il punto è che, salvo ulteriori proroghe della misura di tutela dei lavoratori, eventualmente disposte dal nuovo Esecutivo guidato da Mario Draghi, a partire dal primo aprile 2021, i datori di lavoro potranno nuovamente servirsi dei licenziamenti individuali o collettivi, per motivi legati all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro. Vediamo allora più nel dettaglio che cosa potrebbe succedere tra meno di due mesi.
Blocco licenziamenti 2021: a chi non si applica
Come appena accennato, il blocco dei licenziamenti non vale per tutti, ma soltanto per quelle ipotesi in cui sussistono motivi di recesso, giustificati da fatti estranei alla persona del lavoratore o alle sue condotte al di fuori del posto di lavoro.
Insomma il blocco in oggetto non riguarda i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa. Che cosa si intende con queste espressioni? Vediamolo in sintesi:
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo: che cos’è in breve
In queste circostanze, siamo innanzi ad una violazione, non gravissima, alle regole di comportamento in azienda, da parte del lavoratore da licenziare. In pratica, questi è licenziato, ma rispettando il cosiddetto periodo di preavviso e una procedura di garanzia ad hoc. Infatti, tra la data di comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro deve passare un periodo di tempo previsto dal contratto collettivo o dalla legge, ossia il cosiddetto “periodo di preavviso”; tale da consentire al lavoratore subordinato di mantenere temporaneamente il diritto di incassare comunque la retribuzione e, allo stesso tempo, cercarsi un altro lavoro.
Licenziamento per giusta causa: che cos’è in breve
In tale ipotesi, abbiamo anche qui un licenziamento di tipo disciplinare, dovuto al venir meno del rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore; ma la differenza rispetto al licenziamento appena esposto è che la violazione commessa dal dipendente, in queste circostanze, è talmente grave che non permette la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto nell’ambito del citato periodo di preavviso. In altre parole, il contratto di lavoro si risolve subito, con la conseguenza che il lavoratore non ha più diritto di mettere piede sul luogo di lavoro.
In verità, anche altri procedimenti come il licenziamento per superamento del periodo di comporto; il licenziamento nel periodo di prova o al termine dello stesso; e il licenziamento inerente il lavoratore domestico, restano fuori dalla proroga del blocco e sono liberamente azionabili dal datore di lavoro.
Ribadiamolo: il blocco fino al 31 marzo si applica ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ossia inerenti fattori esterni al lavoratore, correlati all’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro. Più avanti vedremo però quali sono le deroghe speciali rispetto a quanto appena detto.
Dal primo aprile possibili i licenziamenti individuali e collettivi
E’ intuibile che in mancanza di ulteriori conferme ed estensioni del blocco licenziamenti, le aziende – a partire da inizio aprile – avranno libertà di licenziare per giustificato motivo oggettivo, in via individuale o plurima. Non solo: da quella data, sarà inoltre possibile intraprendere gli iter di conciliazione obbligatoria, nelle circostanze del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, verso i lavoratori “ante Jobs Act”. Si tratta degli assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 – ossia la data di entrata in vigore del Jobs Act – presso aziende con organico al di sopra delle quindici unità.
Oltre alla possibilità di risolvere unilateralmente i rapporti di lavoro individuali, le aziende – salvo ulteriori proroghe – saranno nuovamente libere di effettuare licenziamenti collettivi. A partire dal primo aprile. Nello specifico, a partire da quella data:
- potranno ultimarsi gli iter di licenziamento collettivo pendenti ed iniziati dopo il 23 febbraio 2020; e bloccati in virtù di questa misura di tutela fino a fine marzo;
- potranno essere intrapresi nuovi iter di licenziamento collettivo.
Licenziamento collettivo: quali sono le condizioni?
La legge vigente, in tema di licenziamenti, dispone che le aziende che abbiano in organico più di 15 dipendenti devono procedere con la procedura del licenziamento collettivo laddove:
- si attivino con più di 5 licenziamenti per motivi legati all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro (giustificato motivo oggettivo);
- in un lasso di tempo pari a 120 giorni;
- all’interno dell’identica unità produttiva o in più unita localizzate nella stessa provincia.
Ricordiamo brevemente che l’iter di licenziamento collettivo è assai articolato, anche in ragione della pluralità di interessi coinvolti nella procedura (quelli dei lavoratori in primis). E’ infatti previsto il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o unitarie (RSU) e delle rispettive associazioni di categoria; la possibilità della fase dell’esame congiunto con l’azienda, su iniziativa delle parti sociali; e soprattutto è prevista l’eventualità di raggiungere un accordo sindacale, che disponga in merito ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. In ogni caso, per maggiori dettagli rimandiamo ad un nostro precedente articolo focalizzato sull’argomento.
5 deroghe alla proroga fino al 31 marzo: quali sono?
In verità, oltre alla tuttora sussistente possibilità di licenziare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, va rimarcato che – senza aspettare la fine del blocco – i datori di lavoro possono ricorrere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo in talune particolari circostanze concrete. Sono insomma previste delle deroghe speciali rispetto alla disciplina generale. Eccole di seguito:
- liquidazione della società senza prosecuzione dell’attività, laddove non possa aversi alcun trasferimento d’azienda o di un ramo di essa;
- cessazione definitiva dell’attività di impresa;
- fallimento dell’impresa, nell’ipotesi per la quale non sia disposto l’esercizio provvisorio dell’attività ossia ne sia stabilita la cessazione definitiva;
- accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, messo in atto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale;
- ipotesi dei dipendenti interessati dal recesso impiegati in un appalto e poi passati al nuovo appaltatore. Ciò in base ad una norma di legge; CCNL o clausola all’interno del contratto di appalto, per cui si è obbligati a riassumere il personale alla data del subentro.
Diritto alla Naspi per i lavoratori licenziati: quando?
In questo quadro non certo incoraggiante per il lavoratore, occorre tuttavia ricordare che i licenziamenti individuali o collettivi per giustificato motivo oggettivo sono considerati dal legislatore come casi di perdita involontaria del posto di lavoro; ossia non legata alla volontà o condotta del dipendente.
Ne consegue che il dipendente licenziato può accedere all’indennità di disoccupazione NASPI erogata dall’INPS. Ma ciò a patto che ricorrano tutti i requisiti per ottenere detto ammortizzatore sociale. In base alla legge, l’indennità spetta se sussistono almeno 30 giornate di lavoro nei 12 mesi anteriori all’inizio della disoccupazione; e almeno 13 settimane di contributi versati nei 4 anni che precedono l’inizio della disoccupazione.
Ricordiamo altresì che detto sussidio spetta soltanto dopo aver effettuato domanda di disoccupazione da parte dell’interessato, nei confronti dell’ente previdenziale.
Concludendo, non resta che attendere le prossime settimane, per capire se il nuovo Governo guidato da Mario Draghi deciderà di porre una nuova proroga del blocco dei licenziamenti.