Assenza ingiustificata: quando si configura l’assenza dal lavoro ingiustificata e quali sono le conseguenze? Cosa succede se un lavoratore non si presenta al lavoro? Nel corso del rapporto può accadere che il dipendente sia assente dal lavoro. Di norma, per questi periodi spetta comunque la retribuzione, posto che dipendono da cause legittime come ferie e permessi retribuiti, malattia, gravidanza, infortuni sul lavoro, permessi legge 104 ecc.
Oltre ai casi citati, esistono altri casi di assenza sul lavoro che pur non essendo retribuite giustificano la mancata presenza del dipendente, tra cui permessi per malattia del bambino, aspettativa non retribuita, Aspettativa per cariche pubbliche o sindacali, congedo non retribuito per gravi motivi personali e infine l’aspettativa per lavoratori tossicodipendenti o loro familiari.
Tuttavia possono verificarsi anche delle assenze ingiustificate, che oltre a non essere retribuite non sono nemmeno determinate da alcun valido motivo, peraltro non dimostrabile presentando documenti o certificati (come avviene ad esempio per malattie e infortuni).
Vediamo tutto ciò che c’è da sapere.
Assenza ingiustificata dal lavoro: responsabilità disciplinare
Al di là degli effetti economici (mancata retribuzione), a seconda delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari, le assenze senza giustificazione possono esporre il dipendente a pesanti responsabilità fino a portare, nei casi estremi, al licenziamento.
L’assenza ingiustificata può quindi esporre il lavoratore dipendente a una responsabilità disciplinare. Questo significa che l’azienda, previo obbligatorio espletamento di una procedura di contestazione può sanzionare il dipendente con ammonizione scritta, multa, sospensione, trasferimento o licenziamento.
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La scelta di quale provvedimento adottare dipende dall’azienda, tenuto conto della gravità del fatto commesso, di eventuali precedenti in tal senso e di quanto prevedono il CCNL e il codice disciplinare.
Quest’ultimo documento è obbligatorio se si vuole sanzionare il dipendente. In esso sono riportate le singole condotte punibili e le relative sanzioni. Il codice può anche replicare in toto quanto previsto dal CCNL o integrarlo / modificarlo.
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Procedura disciplinare
Prima di irrogare qualsiasi sanzione disciplinare, la normativa (art. 7 Legge n. 300/70 cosiddetto “Statuto dei lavoratori”) impone di:
- rendere noto al dipendente che il suo comportamento è contrario al codice disciplinare (lettera di richiamo per assenza ingiustificata);
- esaminare le sue eventuali giustificazioni.
Passi da compiere
Il primo passo da compiere è la consegna del richiamo disciplinare al dipendente (lettera di richiamo per assenza ingiustificata). Questo dev’essere prodotto in forma scritta con raccomandata consegnata a mani del lavoratore (che dovrà firmarla per ricevuta) o, in alternativa, sempre con raccomandata all’indirizzo noto e con ricevuta di ritorno.
Il dipendente ha cinque giorni di tempo dalla consegna della contestazione per presentare sue eventuali giustificazioni (i giorni sono di calendario e si considerano anche i festivi).
Una volta superata la finestra temporale per le eventuali giustificazioni, l’azienda deve decidere se irrogare o meno la sanzione.
Nel primo caso, qualsiasi provvedimento dev’essere comunicato in forma scritta, specificando altresì i motivi alla base della decisione.
In caso di chiusura del procedimento senza sanzioni, sebbene non sia obbligatorio, è consigliabile comunque comunicare la scelta al dipendente in forma scritta.
Licenziamento per assenza ingiustificata: cos’è e come funziona
La massima contestazione disciplinare per assenza ingiustificata si traduce nel licenziamento. Il licenziamento per assenza ingiustificata scatta laddove l’assenza del dipendente sia talmente grave da giustificare la risoluzione del contratto; oppure le reiterate assenze dal lavoro fanno scattare lo scarso rendimento del lavoratore.
L’azienda in questi casi è tenuta a comunicare il licenziamento in forma scritta, indicando i motivi alla base della decisione, la condotta del dipendente, le sue eventuali giustificazioni e le ragioni per cui non sono state accolte. Come farsi licenziare per ottenere la Naspi?
Quando la condotta del dipendente è di gravità tale da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto si parla di licenziamento per giusta causa. In questa fattispecie non è dovuto il preavviso, pertanto il rapporto si considera cessato dal giorno della contestazione dell’addebito ovvero, a scelta dell’azienda, dal momento in cui il dipendente riceve la lettera di licenziamento.
Se invece si ricade nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, tra la data di contestazione dell’addebito o quella di comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno lavorato deve trascorrere un periodo di tempo definito dal contratto collettivo applicato, cosiddetto periodo di preavviso.
Questo ha infatti la funzione di consentire al dipendente di trovare una diversa collocazione lavorativa prima che il contratto si risolva definitivamente.
Se l’azienda non rispetta il preavviso è tenuta a corrisponderne in busta paga l’indennità sostitutiva, da quantificarsi con la retribuzione cui avrebbe avuto diritto il dipendente per il periodo tra la data del licenziamento e quello che sarebbe stato l’ultimo giorno di lavoro se il preavviso fosse stato osservato.
Il licenziamento del dipendente dev’essere comunicato al Centro per l’impiego a mezzo invio del modello Unilav, entro cinque giorni decorrenti dall’ultimo lavorato.
Ticket Naspi (o contributo licenziamento)
Nei casi di licenziamento di un dipendente a tempo indeterminato l’azienda è tenuta a corrispondere all’INPS il cosiddetto “ticket licenziamento”, la cui funzione è quella di finanziare l’indennità di disoccupazione NASPI.
L’importo base per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di 3. Questo significa che per rapporti di durata pari o superiore ai 36 mesi il contributo annuale si moltiplica per 3.
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Per i periodi inferiori all’anno il contributo mensile dovrà essere moltiplicato per i mesi di lavoro (se il mese è parzialmente lavorato si considera come intero se di durata pari o superiore ai 15 giorni).
Il contributo dev’essere versato con F24 entro il giorno 16 del secondo mese successivo quello di interruzione del rapporto. Se ad esempio il rapporto è cessato il 15 luglio 2019 la somma dovrà essere versata entro e non oltre il 16 settembre 2019.
Cosa comporta l’assenza ingiustificata in busta paga?
Per l’assenza ingiustificata non spetta alcun tipo di retribuzione, così come non maturano gli altri elementi differiti quali ferie, permessi, TFR, mensilità aggiuntive (tredicesima ed eventuale quattordicesima se prevista dal CCNL applicato).
Facciamo l’esempio di un dipendente che ha una retribuzione fissa mensile pari ad euro 1.950,00 lordi. Sappiamo che il suo compenso sarà identico ogni mese, indipendentemente dalle ore lavorate. Questo significa che la retribuzione non cambierà se in una determinata settimana il dipendente lavorerà 20 ore e ne farà altrettante di ferie.
Alla retribuzione fissa si potranno sommare eventuali maggiorazioni per lavoro notturno o festivo (comprese le domeniche), straordinari (feriali e festivi). Al contrario, alla retribuzione fissa si dovranno sottrarre assenze ingiustificate, scioperi, permessi non retribuiti.
Esempio retribuzione assenza ingiustificata
Ipotizziamo che il dipendente nel mese di maggio 2019 abbia totalizzato 8 ore di assenza ingiustificata. In questo caso la retribuzione sarà pari a:
Retribuzione lorda euro 1.950,00 – Assenza ingiustificata (8 ore) equivalenti ad euro 50,00 = 1.900,00 lordi.
Nel libro unico del lavoro e nel cedolino paga (da consegnare al dipendente all’atto dell’erogazione del compenso) le voci saranno così indicate:
- Descrizione Trattenute Competenze
- Retribuzione 1.950,00
- Assenza ingiustificata 50,00
Naturalmente, al saldo di euro 1.900,00 dovranno essere sottratti ulteriori importi a titolo di trattenute per contributi previdenziali e assistenziali (INPS) e tasse (IRPEF). Ipotizziamo che queste siano pari rispettivamente ad euro 70,00 e ad euro 100,00.
Il netto finale (la somma che sarà erogata al dipendente) ammonterà a:
- Retribuzione lorda 1.950,00
- Assenza ingiustificata 50,00 –
- Contributi INPS 70,00 –
- IRPEF 100,00 –
- Netto 1.730,00
Esempio retribuzione assenza ingiustificata con paga oraria
Il dipendente con paga oraria riceve una retribuzione commisurata alle ore lavorate in ogni singolo mese, al netto di quelli che sono gli eventi non retribuiti come assenze ingiustificate, scioperi e permessi non retribuiti.
Alla retribuzione lorda si sommano invece i periodi di non lavoro per i quali spetta comunque la retribuzione come ferie, permessi, malattie, maternità, infortuni.
Infine, sono previsti elementi aggiuntivi come maggiorazioni per lavoro notturno o festivo (comprese le domeniche) e straordinari (feriali e festivi).
Ipotizziamo che nel mese di maggio 2019 abbia totalizzato 140 ore di lavoro, 30 di ferie e 8 di assenze ingiustificate. La retribuzione del mese sarà pari a:
Retribuzione euro 1.500,00 + Ferie euro 120,00 – Assenza ingiustificata 50,00 euro = 1.570 euro lordi.
Al risultato ottenuto si dovranno sottrarre, come nell’esempio precedente, contributi INPS e IRPEF. Se ad esempio queste sono pari rispettivamente ad euro 56,00 e ad euro 80,00, il netto sarà di:
- Retribuzione lorda 1.500,00
- Ferie 120,00 +
- Assenza ingiustificata 50,00 –
- Contributi INPS 56,00 –
- IRPEF 80,00 –
- Netto 1.434,00
Contestazione assenza ingiustificata: non deve essere tardiva
Perde il diritto di licenziare il datore di lavoro che tollera le assenze del proprio dipendente anche oltre il periodo di comporto. La Cassazione con sentenza nr. 11342 dell’11 maggio 2010 ha stabilito che il datore di lavoro che tollera le eccessive assenze del proprio dipendente, anche oltre il periodo di comporto, perde il diritto di licenziare. In questi casi infatti è sempre necessario rispettare il criterio della “tempestività” del recesso, ovvero la contestazione per assenza ingiustificata deve essere fatta subito.
La Suprema Corte ha così dato ragione ad un lavoratore che, impugnava il proprio licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto. Il licenziamento, in tutti i gradi di giudizio è stato considerato tardivo poichè il datore di lavoro aveva tollerato il comportamento del dipendente, comminandogli il licenziamento, solo quando aveva sommato nel triennio 572 giorni di assenza per malattia, a fronte del limite contrattuale di 365 giorni.